«La classe al potere dovrebbe smetterla di manipolarci e di prenderci per cretini, siamo in grado di fare tutto se messi nelle giuste condizioni» afferma con forza Rafiki Fariala, giovane regista che a Berlino presenterà il suo primo lungometraggio Nous, Étudiants! nella sezione Panorama. Un documentario che racconta la quotidianità di Fariala e di suoi tre amici durante gli studi all’università di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Negli alloggi poveri e angusti, nelle aule sovraffollate e nelle mura scrostate appare la profonda povertà che affligge il paese, persino in quello che dovrebbe essere il «tempio del sapere». Tuttavia è forte la speranza di poter fare qualcosa per cambiare il proprio destino, un desiderio che prende forma già nella realizzazione stessa del film.
Quest’ultimo infatti è il risultato di un percorso di formazione istituito a Bangui dagli Ateliers Varan, storica scuola di «cinema diretto» fondata da Jean Rouch a Parigi. Boris Lojkine e Daniele Incalcaterra sono stati i principali artefici dell’iniziativa, ovvero portare il cinema documentario in un paese dove non esiste alcun tipo di tradizione cinematografica. Incalcaterra, co-produttore del film, ci ha raccontato le difficoltà di dar vita ad un progetto culturale in una nazione dilaniata dalla guerra civile, potendo contare su infrastrutture – acqua, corrente, internet – estremamente precarie. «La cooperazione è indispensabile per un paese affamato ma credo sia molto importante formare delle persone affinché possano prendere in mano la loro vita» ha affermato. «I ragazzi che hanno seguito il corso sentono la responsabilità di mostrare per primi delle immagini del loro paese molto diverse da quelle raccolte dai giornalisti occidentali».

Una possibilità inedita che non ha tardato a dare i suoi frutti: prima di Nous, Étudiants! era stato già presentato nei festival internazionali Makongo di Elvis Sabin Ngaïbino, lo stesso nome è stato dato alla prima società di produzione centrafricana e altre sono nate successivamente. L’eredità coloniale è ancora, naturalmente, un tema importante e anche il progetto degli Ateliers Varan è finanziato con fondi francesi, a questo proposito Incalcaterra afferma: «Credo che in questo tipo di esperienze bisogna guardare i risultati, quei soldi sono serviti a far accedere qualcosa, un cambiamento. Un aspetto molto importante è che abbiamo sempre garantito la totale libertà di espressione ai giovani registi e registe». Abbiamo raggiunto Rafiki Fariala al telefono, chiedendogli di raccontare qualcosa di più sul suo lavoro.

Come si riflette nella vita degli studenti la condizione della Repubblica Centrafricana?

Il film racconta il nostro quotidiano, le nostre difficoltà, le nostre speranze. È anche una storia di amicizia tra quattro ragazzi: Aaron, Nestor, Benjamin e me che sono dietro la camera. La condizione difficile del paese entra nella nostra vita di studenti in molti modi, ad esempio dopo aver svolto degli esami capita spesso che non abbiamo i voti perché non si trovano le copie dei compiti e per risolvere il problema entra in gioco la corruzione dei lavoratori amministrativi dell’università. Per ottenere il diploma bisogna pagare e poi ci si ritrova con un semplice foglio di carta che non vale nulla se non si hanno relazioni all’interno della funzione pubblica. Quindi gli anni di studio sono spesso sprecati perché per trovare un lavoro è indispensabile avere delle conoscenze. La disoccupazione infatti è molto alta e il Paese è instabile, c’è scarsità di professori e spesso sono assenti per cui gli studenti devono dormire nelle aule in loro attesa.

Si dice spesso che il futuro è nelle mani dei giovani. Sentite di avere delle possibilità concrete di cambiare la situazione?

Affinché ciò accada non si può trascurare l’educazione, bisogna mettere le persone nelle condizioni di studiare. Solo così le nuove generazioni potranno cambiare mentalità e con essa la gestione del paese. In quanto studenti dell’università di Bangui, purtroppo ancora l’unica di tutta la nazione, siamo speranzosi ma certo c’è anche molta delusione nel vedere come vanno le cose. Ancor di più per le ragazze, è fondamentale che possano avanzare negli studi senza subire molestie o dover andare a letto con un professore, ad esempio.

Rafiki Fariala

I film nati in seguito al corso degli Ateliers Varan sono tra i primi realizzati nella Repubblica Centrafricana. Cosa ha comportato per il suo lavoro?

Il cinema a Bangui di fatto non esiste, per cui quando andiamo sul terreno a girare la popolazione non è abituata e spesso non lo accetta. Per filmare dentro l’università ho dovuto parlare con il rettore che qui è una persona molto importante, come un ministro, ci ho messo quattro mesi e ho dovuto pagare dei soldi per spingere lui e i professori ad accettare. Lo stesso è accaduto con la polizia e i militari. Non è facile ma ci stiamo facendo conoscere e speriamo di riuscire a portare il nostro cinema anche all’estero, di trovare dei nuovo partner e persone che possano sostenerci.

Cosa vorrebbe che gli spettatori occidentali cogliessero del suo film?

Come prima cosa ci preme mostrare la nostra cultura, la nostra condizione. Nonostante del nostro paese si dica che è sempre in guerra e con grossi problemi, vogliamo far vedere il nostro modo di intendere la vita, la nostra quotidianità. Seconda cosa, vogliamo far vedere che se veniamo sostenuti e formati, abbiamo talento e possibilità di fare anche noi il cinema come molto altro.

Come vede il suo futuro dopo aver realizzato questo lavoro?

Quando sono con la camera mi sento me stesso e vedo la realtà in maniera differente, vorrei quindi che il mio futuro fosse nel cinema. Vorrei fare dei viaggi in altri paesi per continuare ad apprendere, Rafiki significa «amico» e io mi ritengo amico di tutti, ma poi desidero continuare a lavorare qui perché il terreno è ancora vergine. Perché andare in altri luoghi dove il cinema esiste già e non farlo sviluppare qui, facendone magari beneficiare anche altre persone? Vogliamo avere delle case di produzione, degli studi, delle etichette discografiche ma sarà possibile solo se noi che abbiamo iniziato restiamo qui, in questa nazione povera, che ancora piange, con buona volontà. Dobbiamo restare positivi e mantenere la speranza nonostante tutto quello che succede.