Nei pressi della rotatoria di Walpole street, su cui si erge l’albero del cotone, simbolo della città, fanno ritrovo quotidiano decine di amputati della guerra civile, in cerca di elemosina.

Qui, nel cuore della capitale Freetown, oltre a questo, quasi nulla ricorda le vicende che hanno reso la Sierra Leone tristemente nota alle cronache. Dalla fine del decennale conflitto, nel 2002, il Paese ha visto svolgersi 4 elezioni democratiche ed è oggi stabile, seppur con tensioni politiche occasionali.

Attorno alla stessa rotatoria stazionano gli strilloni che vendono i giornali, e la loro assenza saltuaria non passa inosservata. «Può capitare che a volte i giornali non escano, per lo scetticismo dei proprietari delle stamperie commerciali che temono di incorrere in azioni penali se pubblicano materiale troppo critico» spiega Francis H. Murray, cronista della testata locale Politico.

Se da un lato le istituzioni del Paese si rafforzano positivamente, dall’altro la libertà di espressione rimane ancora molto limitata, stavolta per legge, e non per violazioni della stessa, come accade di frequente nel continente africano.

LO SCORSO 1 MAGGIO, la giornalista ed ex ministro degli Affari sociali Sylvia Olayinka Blyden, è stata arrestata per aver criticato il governo su Facebook e ha trascorso più di 40 giorni in detenzione, la metà dei quali senza aver ricevuto accuse formali. La questione è dibattuta da tempo nel Paese: la legge sull’Ordine pubblico del 1965 contiene una distorta interpretazione della diffamazione.

Tra le dichiarazioni poi contestate a Blyden in via ufficiale, si legge: «Non ho mai creduto nell’incantesimo collettivo del nostro presidente, che negli anni ’90, sotto la giunta militare, ha abusato dell’autorità politica, disobbedendo alla Costituzione». La critica è rivolta a Julius Maada Bio, attuale presidente da aprile 2018, fautore dei colpi di stato del ’92 e del ’96, dei quali poi si scusò, riabilitando la propria immagine.

E ancora: «È indiscutibile che il presidente abbia una propensione a viaggiare all’estero senza preavviso». Blyden, dichiarata oppositrice di Bio, e informalmente aspirante alla presidenza, ha inoltre contestato i maltrattamenti ricevuti dall’ex ministro della Difesa, del partito di opposizione, detenuto per un presunto tradimento istituzionale, un altro caso dal movente politico piuttosto che penale.

L’ARRESTO DI BLYDEN è sopraggiunto poche ore dopo la pubblicazione di un audio in cui Fatmata Swaneh, una leader del partito di governo, dichiara che la giornalista «non avrà tregua per le sue critiche oltraggiose». Blyden attende ora il processo per una decina di reati diffamatori, che prevedono fino a 7 anni di carcere.

La legge del 1965 che regola la diffamazione, tra le altre oscenità, sancisce che: «La veridicità della dichiarazioni pubblicate non costituisce una difesa per l’imputato. La veridicità è pertinente solo nella misura in cui si dimostri che il contenuto in questione sia stato pubblicato a beneficio del pubblico».

Di conseguenza, un commento accurato ma critico può innescare azioni penali, se ritenuto (spesso sotto pressioni politiche) lesivo della pace pubblica. E sia chiaro che nessun caso di giornalista arrestato nel Paese ha mai avuto per oggetto la pubblicazione di contenuti attinenti alla sfera privata delle persone citate. «È una vergogna che questa legge preveda persino la misura della detenzione preventiva. La mia intera carriera di giornalista si basa sulla ferma volontà di farla cancellare» spiega Umaru Fofana, corrispondente della Bbc nel Paese.

IL GOVERNO BIO però sembra aver intrapreso azioni concrete per abolire la legge contestata. Un disegno per l’abrogazione è stato approvato dal consiglio dei ministri e presentato in Parlamento. Ora tocca a quest’ultimo convertirlo in legge, ma è tutto da vedere.

Da quando la legge è stata importata dal Ghana (che però l’ha abrogata nel 2001), e approvata in Sierra Leone, i governi e numerosi politici l’hanno utilizzata principalmente contro i media.

«Durante lo stato di emergenza 2014-16 dell’epidemia di ebola, la minaccia di accuse di diffamazione è stata ampiamente utilizzata per imbavagliare i giornalisti costringendoli a censurarsi o, in alcuni casi, persino a nascondersi», sostiene Reporter senza frontiere (RSF).

IL PAESE SI CLASSIFICA 85ESIMO nel mondo per libertà di stampa, i suoi media sono pluralisti e anche piuttosto indipendenti, ma fare informazione rimane un campo minato. Nel novembre 2019, Sallieu T. Jalloh, giornalista del quotidiano Times di Freetown è stato arrestato per 24 ore con l’accusa di diffamazione per una storia non ancora scritta, solo per aver chiesto al primo ministro David Francis spiegazioni sul presunto versamento di un somma sul suo conto personale, da parte di una compagnia mineraria la cui concessione era stata recentemente sospesa dal governo.

Anche altri Paesi africani adottano leggi “improprie” sulla diffamazione, come lo Zimbabwe, il Gambia e lo Zambia, ma magari la Sierra Leone abbandonerà per prima le cattive compagnie.