Tutto è affidato al corpo e alla parola, la nuova versione di Misura x Misura firmata da Graziano Piazza rinuncia a ogni orpello scenografico e lascia scorrere il lavoro attoriale nelle pieghe più nascoste del testo. Autore anche della traduzione, oltre che in scena nei panni di Angelo, Piazza ha strizzato dal dramma le note più stonate della natura umana confezionandone una tragicommedia dell’umano disincanto. Quel Duca (Paolo Graziosi), che finge impegni fuori città (non più la Vienna dell’originale shakespeariano) ed elegge suo sostituto Angelo, esempio di probità e rigore, diventa strumento per smascherare false apparenze e consuetudini morali. E del potere assoluto, messo alla berlina dallo stesso duca travestito da frate, che torna a corte quasi per ritrovare il senso del suo governare.

 
Attraverso continui svelamenti, i personaggi brillano per chiarezza e le parole del Bardo, già allusive della tremenda mercificazione del corpo, qui diventano espressioni più dirette di un gioco al massacro orchestrato dal duca-frate intorno al sesso motore del mondo. Non a caso gli spettatori sono accolti in sala da una spavalda Madame O, la tenutaria dei bordelli cittadini, come ad anticipare il caos interiore che per due ore e venti minuti regnerà nel luna park-mondo governato dal vicario Angelo.
Riesumatore di vecchie leggi persecutorie nei confronti di chi gode dei piaceri della carne, con la sua maschera triste e bacchettona ordina la chiusura dei bordelli e condanna a morte il giovane Claudio la cui amata e consenziente Giulietta espone una gran pancia prima del matrimonio. Ma la vita inesauribile data a ognuno secondo sua misura» scorre e subito lo trasforma in un concupiscente tiranno sulla pista del grande circo.

 
Invaghitosi della novizia Isabella (eterea creatura, resa impavida da Viola Graziosi), giuntagli di fronte per intercedere in favore del fratello Claudio, Angelo perde l’aplomb ed entra nel gioco delle false morali. Lo spazio vuoto della scena, permette una libertà di movimento che aggiunge valore alle azioni e, forse, la quintatura del Teatro India (dove si replica fino a domani) chiude inutilmente ai lati un allestimento destinato a inglobare la platea. Il fondale, illuminato col rosso fuoco dell’ouverture, muta anch’esso e segna il climax nel susseguirsi delle scene, in cui ciascun personaggio partecipa alla composizione di un’umanità altalenante nel calcolare la misura degli accadimenti. «Ognuno riceve in base a ciò che è in grado di ricevere» e, tra scambi di ruoli e sostituzioni di persone, si arriva all’agnizione, col duca che si toglie il cappuccio del frate e si mostra quale artefice del gioco. Forse con una nuova consapevolezza.

 
Ne andrebbe consigliata la visione ai nostri politici inchiodati alle loro poltrone. Intanto, tra i molti eventi del quattrocentenario della morte di Shakespeare, questa coproduzione del Teatro di Roma sembra dialogare con i giovani per la scelta di un linguaggio aperto e immediato. Il testo è pubblicato dalle Edizioni Tlon con una guida alla lettura di Igor Sibaldi.