Diabolik, o meglio la testata che porta il suo nome, il prossimo 2022 compirà ben 60 anni. Nato dalla mente di Angela Giussani, con l’intento di riempire la noia durante i viaggi in treno da pendolare, col tempo si è evoluto non solo in un’icona pop di massa, ma anche in un personaggio ben diverso dagli esordi, meno assassino spietato e più ladro ingegnoso. Nella sua carriera, Diabolik si è schierato a favore del diritto di aborto, ha appoggiato campagne contro il femminicidio, la violenza domestica e gli abbandoni degli animali, non ha avuto paura a mostrare un coming out di un suo personaggio, lo scrittore Saverio, dimostrando un coraggio unico, incredibile per un fumetto popolare e disimpegnato. Con quasi 900 albi, tante ristampe, un film in uscita con Miriam Leone, Valerio Mastandrea e Luca Marinelli, videogame, cartoni animati, storie sempre spettacolari e attuali, Diabolik è una testata che non conosce crisi. Esiste però una parte dell’universo di questo personaggio che viene affrontato sempre poco: le canzoni a lui ispirate.

LE IMITAZIONI
Diabolik nel 1966 è al suo massimo splendore: ha alle spalle una serie di storie giallo macabro di grande inventiva come il gotico Il castello della morte e sta ridefinendo il personaggio per gli anni a venire. Sono nati sulla sua scia infinite imitazioni, tutte con la K nel titolo, le migliori sono quelle create da Luciano Secchi/Max Bunker, Kriminal e Satanik, ma il fumetto delle sorelle Giussani (Angela e Luciana, il team dietro la creazione del Re del terrore) è un misto tra romanticismo disperato e logica thriller che ne decreta il successo, non solo fugace ma nel tempo, a differenza degli emuli, falliti in un breve ciclo editoriale.
È proprio nel 1966, l’anno V per la testata, che la cantante lecchese Betty Curtis, nome d’arte di Roberta Corti, una delle voci più interessanti della musica leggera italiana di quel decennio, su testi di Gustavo Palazio, Marcello Marchesi e Tito Carpi, canta il brano Diabolik. Il pezzo, molto orchestrale, non è eccelso, ma è comunque delizioso. Certo che più che per la musica, ad opera di Gualtiero Malgoni, troppo melodica e anonima, ci si ricorda di questa canzone soprattutto per i suoi testi che riportano ai temi più sentimentali del fumetto delle Giussani. Con frasi come «Diabolik, Diabolik, qualcosa mi dice di non amarti più. Ma il tuo sguardo di ghiaccio è una lama nel cuore che non posso strappare per gettarla via da te» o «Diabolik! Diabolik! Non dirmi chi sei e cosa farai di me/Ho paura di te, ma ti aspetto e con noi la notte che mi tormenta e mi tenta come fai tu», sembra di rivivere, attraverso la musica, il binomio amore/terrore che da sempre muove tante figure femminili verso il criminale mascherato, da Elizabet(h) Gay dagli occhi viola come la Taylor alla compagna di sempre, Eva Kant. Non è raro, nei primi numeri, trovare i dubbi esistenziali della bella e bionda amante di Diabolik («È un mostro ma lo amo», cfr. numero 7 Terrore sul mare), tanto che, ad un certo punto, lo stesso Diabolik cercherà di strangolarla per punire una sua disobbedienza ma finirà comunque per chiederle scusa («Non posso non potrò mai uccidere la donna che amo», cfr. numero 15 Lotta disperata). Diabolik è l’eros che si potrebbe trasformare in thanatos, ma diventa per i suoi amori non una grande morte, ma una piccola morte, un brivido d’orgasmo. Il vinile, un 7”, vanta una copertina inedita disegnata da Enzo Facciolo, forse il disegnatore più iconico della testata, colui che ridisegnò il costume del personaggio e gli diede l’aspetto sulla falsariga dell’attore Robert Taylor.
Il disco, rarissimo e ambito dai collezionisti, vede un Diabolik gargantuesco che, minaccioso e armato di coltello, spunta da dietro le case di quella che dovrebbe essere Clerville, la città nella quale vive e opera. I colori accesi, giallo, rosso e blu, riportano alle copertine, pulp e piene di pathos, dei primi albi della testata.

Il film del 1968 diretto da Mario Bava

AL CINEMA
Il film su Diabolik arriva nel 1968, dalle ceneri di un progetto iniziato e abortito quasi subito, tra il 1965 e il 1966, una produzione con il francese Jean Sorel e la bellissima Elsa Martinelli nei panni, rispettivamente, di Diabolik e Eva, diretti da Seth Holt, un autore talentuoso e problematico. Dino De Laurentiis ripensa da capo al progetto: dal suo mastodontico Barbarella, ben nove milioni di dollari di budget, scrittura come protagonista John Phillip Law, e lo fa girare, non senza screzi tra i due, da Mario Bava, famoso per girare kolossal low budget. Ne risulta un film dal costo di appena 200 mila dollari, zeppo di attori sbagliati, da Michel Piccoli nel ruolo di Ginko alla Eva di Marisa Mell (subentrata a Catherine Deneuve), castrato sul piano della violenza, ma, incredibilmente, eccezionale, grazie a una regia straordinaria e inventiva. Diabolik (o Danger: Diabolik!) è un film meraviglioso e incredibile, un caleidoscopio di colori e musica, pop art allo stato puro, così ben girato da far dimenticare ogni difetto, così perfetto nell’imperfezione di un cinecomix che, pur se infedele alla materia, ne riporta su grande schermo l’anima, la cosa più difficile. A impreziosire il tutto ci pensano i brani di Ennio Morricone, molto vari, dal rock psichedelico degli inseguimenti a sinfonie più orientaleggianti nelle sequenze meno movimentate e d’amore. Il brano migliore è Deep Down, intenso e avvolgente, cantato da Christy (Maria Cristina Brancucci). La canzone ha testi, in inglese nel film, in italiano nel 45 giri uscito all’epoca, molto semplici («Deep deep down/Ora sì guardami/Vieni qui/Qui vicino a me»), Diabolik non viene mai citato ma la musica, nell’immaginario dei fan, è intrinsecamente legata all’iconica pellicola. Le sonorità di Morricone verranno riprese e rielaborate più volte, negli anni, in molti lavori anche moderni. La migliore è la rivisitazione di Graziano Romani nel suo album Genius of Crime del 2016.

GLI OCCHI DI EVA
Anche Eva Kant, compagna storica di Diabolik, è stata oggetto di canzoni. Sempre nel 1968 il misconosciuto cantante Claudio Venturelli sforna un 45 giri con una traccia per lo meno curiosa, Eva dagli occhi di cielo. Il disco sfoggia una copertina che non lascia dubbi all’ispirazione: l’artista è fotografato mentre indossa il tipico travestimento alla Diabolik. Nulla da esaltarsi davanti al brano: pop di basso livello con sonorità e musiche che non lasciano il segno. Il testo fa sembrare quello di Betty Curtis un lavoro di un Mogol in ottima forma. Eva, e i suoi occhi di cielo, avrebbe meritato di essere la musa di un altro artista, più talentuoso. Ci pensano Le Rivoltelle, band rock cosentina, con il brano swing Eva Kant, datato 2012, scritto per i 50 anni di Diabolik, una canzone che cattura per la grinta notevole delle sue interpreti.
Con lo stesso titolo, l’anno scorso, è uscito un pezzo di Roberto De Frenza, frontman del gruppo barese Le Maschere, artista che, forse più di ogni altro, è riuscito a rendere omaggio alla bellezza letale della bionda criminale. Ritmi rock che riportano alla memoria band come i Rats e la loro Chiara, i Timoria con lo scatenato 2020 o i Litfiba più oscuri, d’inizio millennio, quelli del periodo Cabo con Elettro Macumba. La canzone è ben strutturata i testi sono azzeccati e graffianti («Eva Kant, sono sicuro che è lei Bionda bellissima, sguardo che uccide»), quasi un atto d’amore per una donna di carta che ha fatto battere il cuore a molti lettori di carne e sangue. Ma per loro, purtroppo, non c’è competizione: Eva ama solo Diabolik, e chi si mette davanti al loro amore si becca spesso una coltellata alla schiena. Uomo avvisato…