Lentamente, dubbiosamente, l’incubo divenne uno spettacolo. Parafrasiamo Bergman per dire della “partitura-catalogo di cento azioni singole che possono non solo essere ricombinate a discrezione della messa in scena, ma anche essere selezionate o eseguite in simultanea”: così Roberto Paci Dalò, regista, sull’allestimento di Repertoire, opera aperta di Maurico Kagel per cinque o più attori o strumentisti ,con Zaum_percussion, nell’ambito dell‘edizione 2021 del Festival Aperto che porta il titolo Principio Speranza. Allievo di Jorge Luis Borges, l’argentino di famiglia ebrea fuggita dalla Russia con questa pièce sembra voler creare uno specchio per le parole del suo maestro: “Tutte le cose sono parole della lingua/ in cui Qualcuno o Qualcosa, notte e giorno, / scrive quell’infinito garbuglio/ che è la storia del mondo.” I performers come dimessi fantasmi o burattini dell’assurdo -muti- in scena: un metronomo sulla schiena, il fischio delle bacchette nell’aria che non incontrano tamburi, mentre si marcia a tempo di una guerra che fu e ha lasciato macerie; una chitarra sdentata e altre invenzioni a comporre un requiem scabro e asciutto per giorni in cui sembra impossibile cantare: era ieri, è oggi, è la sorte dell’uomo? Presenze accennate, bave di suono nel bar dell’apocalisse: in scena compare anche un enorme bicchiere per un brindisi solitario al nulla. L’uso non convenzionale e anti-narrativo degli strumenti, la negazione di ogni possibilità di dire significano un’umanità muta, attonita, zoppa e rattrappita.

UN TEATRO SONORO, un amaro stil novo: pensiamo all’elegia commossa di Boltanski, che aveva presentato proprio a Reggio Emilia l’opera totale Tant que nous sommes vivants. Lì però si viveva un altrove commovente, qui restiamo persi in una nebbia di cenni, ipotesi; siamo nel regno del frammento, a ricordare ancora una volta, con il poeta norvegese Rolf Jacobsen, che l’epoca delle sinfonie è finita. Se di questo sparso vagare tra cuore ed orecchie non resta molto, è sconfinata invece la teoria di meraviglie evocata da Solstices dell’austriaco George Friedrich Haas, interpretato dal FontanaMIX Ensemble: nel buio totale i dieci musicisti frugano nell’anima della materia, la luce è un suono estraneo ed è una curiosa coincidenza di opposti che il rito venga celebrato nel giorno dell’equinozio: come fossimo in contrappunto col cosmo, ricorda il direttore della rassegna Roberto Fabbi, dedicando il concerto a Sylvano Bussotti. Settanta minuti di magnifico mistero a cancellare ogni velleità di definizione o pensiero. Una galassia di prodigi illuminata da un pianoforte radicalmente modificato nell’accordatura, un gioco di montaggio, spiega il maestro concertatore Francesco La Licata, dove la forma prende coraggio ed il compositore affida agli interpreti il destino dell’opera; a noi restano il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà. Il festival prosegue fino a Nfine novembre: su iteatri.re.it tutti i dettagli.