Nove vite, quelle di altrettanti compositori, per i nove inni al ritorno alla vita che hanno animato, nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano, la serata di inaugurazione della stagione concertistica 2020-2021, la centocinquantaseiesima dalla sua fondazione, della Società del Quartetto. Una serata straordinaria, intitolata Il canto della rinascita con l’intento di propiziare il ritorno definitivo della musica nei teatri, ovvero il ritorno dei teatri alla vita, come ha ricordato commossa la Presidentessa Ilaria Borletti Buitoni salutando le autorità in sala, tra le quali spiccava la senatrice Liliana Segre.
Nove grandi compositori italiani sono dunque stati chiamati a raccolta per dare vita a una meditazione corale sulla morte e sulla vita, sulle malinconie e sulle speranze, sui risvolti pubblici e privati generati dalla pandemia da Covid-19: un tentativo altissimo di convocare l’arte a elaborare un trauma collettivo profondissimo e destinato a segnare per sempre la storia dell’umanità. Paolo Arcà, Marco Betta, Carlo Boccadoro, Silvia Colasanti, Michele Dall’Ongaro, Matteo D’Amico, Ivan Fedele, Carlo Galante e Fabio Vacchi hanno accettato a titolo gratuito di misurarsi con questo compito arduo e allo stesso tempo necessario. L’esecuzione è stata affidata all’ensemble Sentieri selvaggi, sotto la guida di Carlo Boccadoro, alle voci cantanti del soprano Carmela Remigio e del mezzosoprano Monica Bacelli, oltre che alla voce recitante di Elio De Capitani.

«LE NOVE composizioni – ha raccontato il Direttore artistico Paolo Arcà – utilizzano testi di diversa provenienza e atmosfera, scelti da ciascun compositore in base alle proprie affinità intellettuali e poetiche; due brani sono solo strumentali. Tale pluralità e varietà di suggestioni è garanzia della massima libertà creativa. Si tratta di autori tutti accomunati da una scrittura di forte presa comunicativa ed emotiva». Ha aperto la serata Aforismi di guarigione (Galante: mezzosoprano e 6 strumenti), che con tono calvinianamente leggero e consolatorio si articola in 13 sezioni su altrettante citazioni da Seneca, Baudelaire, Cechov, Proust, Shaw; lo scarnissimo 4 Haiku (Fedele: soprano e 3 strumenti) e il neobarocco Ecco mormorar l’onde (D’Amico: su madrigale di Tasso; mezzosoprano e 6 strumenti) portano al primo apice della serata: Alleluia, una speranza (Arcà: soprano e 6 strumenti), irresistibile esplosione vocalistica di vitalità, che si semantizza solo nell’istante finale.

IL PUDICISSIMO Dopo (Boccadoro: 5 strumenti), il danzante Par les soirs bleus d’été (Vacchi: su poesia di Rimbaud; soprano e 6 strumenti) e lo schoenberghiano Win (Dall’Ongaro: 6 strumenti) ci portano al gran finale, con il teatralissimo Abbraccio (Betta: testo di Davide Camarrone; soprano, mezzosoprano e 6 strumenti) e lo straziante Nove marzo duemilaventi (Colasanti: testo di Mariangela Gualtieri; voce recitante e 6 strumenti), figlio del leopardiano Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.