«L’autonomia rafforzata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna stravolge lo stato fino a farlo scomparire. Quando il premier Giuseppe Conte dice che è lui il garante dell’unità nazionale non è credibile»: è la posizione di Adriano Giannola, presidente della Svimez, che fin da subito ha suonato l’allarme sul processo che si è innescato senza alcun dibattito pubblico.
Giannola, qual è il pericolo maggiore?
La riforma federalista sancita nella legge Calderoli del 2009 prevede che vengano fissati i Livelli essenziali delle prestazioni, da assicurare in tutto il paese attraverso la perequazione. I «Lep» però non sono mai stati stabiliti e si è continuato con il criterio della spesa storica che penalizza il sud. I nuovi accordi prevedono che si utilizzi il fabbisogno standard, che si calcola sulla popolazione ma anche sulla capacità fiscale del territorio. Così si sancirà per legge che in tema di sanità, scuola, trasporti chi più ha, più ha diritto. Significa prendere le disuguaglianze prodotte dalla spesa storica e moltiplicarle in un flusso che va in una sola direzione, il nord. È l’eutanasia del sud, una morte lenta indotta. Si tratta di un criterio contrario alla Costituzione, che invece stabilisce: ogni cittadino paga le tasse in base al reddito e dovrebbe ricevere i servizi in base ai Lep, indipendentemente da dove risiede.
È stata definita «la secessione dei ricchi».
La Lega, mettendo da parte il federalismo, la definisce regionalismo a geometria variabile. In sostanza è un imbroglio. Con la secessione si dovrebbero accollare anche gli oneri: il nord ha in portafoglio almeno l’ottanta per cento dei titoli di debito dello stato, il suo Prodotto interno lordo è intorno al settanta per cento, quindi il rapporto debito/Pil peggiorerebbe provocando instabilità finanziaria. Perciò fa comodo questo regionalismo che perpetua la trasfusione di sangue dal sud. La Lombardia sostiene di avere un avanzo di 40 miliardi, non dice però che quei soldi tornano nel circuito dell’economia soprattutto al nord: l’Iva pagata al sud viene contabilizzata al nord perché la sede di molte aziende è lì, al Settentrione tornano anche centinaia di miliardi di interessi sul debito pubblico. Se togliamo quegli interessi, i miliardi si riducono forse a 10.

La Lega baratta il regionalismo con il reddito di cittadinanza?
La misura diventa una moneta di scambio per tacitare il sud. La Svimez aveva calcolato che per avere un reddito di cittadinanza efficace ci sarebbero voluti 15 miliardi, ma in campo è stata messa circa la metà. L’impressione è che i 5S non abbiano capito le intenzioni della Lega sull’autonomia quando hanno sottoscritto il contratto di governo. Dopo le politiche, il governatore Zaia disse «il Veneto si prenderà i soldi delle sue tasse». Ma la regionalizzazione dei residui fiscali è una loro invenzione: il contribuente ricco del sud paga i servizi per le fasce più basse allo stesso modo di uno del nord.
Il criterio del «prima il nord» ha fatto crescere l’Italia meno dell’eurozona?
A febbraio 2017 l’allora ministro De Vincenti fece approvare la clausola del 34% di spesa ordinaria in conto capitale al Sud, una quota che ricalca quella della popolazione. Se fosse stata applicata tra il 2009 e il 2015, al sud si sarebbero persi la metà dei posti di lavoro (250mila e non 500mila), il reddito invece di calare del 12% sarebbe sceso del 5% e non avremmo perso il 30% della capacità produttiva. Il conseguente taglio degli investimenti al nord, d’altro canto, avrebbe fatto diminuire da loro i posti di lavoro solo di 40mila unità. Quindi, a livello nazionale, si sarebbero salvati 200mila posti di lavoro, il Pil al nord sarebbe cresciuto, seppure di poco, e l’Italia avrebbe galleggiato meglio negli anni di crisi. Il nostro sviluppo può ripartire dalla vocazione euromediterranea: porti, retroporti e infrastrutture per intercettare gli scambi commerciali, che oggi saltano completamente l’Italia per mancanza di visione e investimenti dei governi.
Il modello Lega centrato sulle regioni convince?
Tra tutti i governatori oggetto di inchieste, due hanno subito condanne: il veneto Galan e il lombardo Formigoni, poi ci sono state le rimborsopoli dei consiglieri regionali e gli scandali nella sanità, anche al nord. Tra tutti gli enti intermedi le regioni sono le peggiori. Al nord sono più efficienti ma hanno anche molti più fondi ordinari. Al sud restano solo i finanziamenti europei, difficili da spendere e rendicontare. Non è un caso che i sindaci di Milano e Bologna, città metropolitane, abbiano chiesto un riordino amministrativo che non li obblighi a sottostare a un nuovo centralismo regionale. In Consiglio dei ministri giovedì sembra essere arrivato uno stop dai 5S ma è interessante notare che pare essere stato indotto dai parlamentari più che dai ministri. Nel loro dossier ci sono elementi presi dall’analisi Svimez.