Ford to City: Drop Dead (traducibile come: Ford dice alla città: crepa!) è una delle copertine storiche del tabloid «Daily News», uscita il 29 ottobre 1975 in risposta all’annuncio che il presidente Gerald Ford aveva negato i fondi federali per alleviare New York dall’imminente bancarotta. È anche il titolo che il Film Forum ha scelto per una delle sue recenti retrospettive estive, dedicata al cinema sulla New York anni settanta. È stata, mi ha detto il direttore del Forum Bruce Goldstein, uno dei maggiori successi nella storia della sua sala.

Che il pubblico, come per un’ondata di nostalgia, si precipiti a ri-vedere la New York notturna, fatiscente, violenta, corrotta, drogata, ghettizzata di film come Midnight Cowboy, Mean Streets, Serpico, Cruising, Taxi Driver, The French Connection, Shaft…la dice lunga non solo sul disagio nei confronti di una città che è oggi più sicura e ricca, ma che si percepisce meno vitale e interessante di quella di mezzo secolo fa, ma anche sull’effetto Trump. E, in effetti, la grande spaccatura che vive oggi l’America andrebbe forse citata meno come un’opposizione tra democratici e repubblicani quanto come la crisi forse definitiva della compatibilità tra i modelli (politici, sociali e culturali) delle città e dei loro immediati dintorni e quelli delle vaste aree rurali del paese.

Non a caso, quarantadue anni dopo la copertina dei «Daily News», e dopo Reagan, le metropoli Usa sono di nuovo nel mirino della Casa bianca, che minaccia tagli finanziari alle città santuario, come New York, San Francisco, LA, che proteggono gli immigrati. Prima ancora della retro del Forum, che la nostalgia di quei seventies «a grana grossa»« fosse nell’aria lo si capiva già da serie tv come Vinyl e The Get Down. In Wonderstruck, il nuovo bellissimo film di Todd Haynes visto a Cannes, e in uscita quest’autunno, l’arrivo della piccola protagonista alla decrepita stazione dei bus di Port Authority, e i suoi primi passi tra le strade intorno a Times Square (dove viene subito rapinata), sono girati con l’afflato romantico della scoperta di un pianeta fantastico.

Dopo la scena musicale anni settanta raccontata da Scorsese a Baz Luhrmann, è proprio la zona di Times Square e in particolare il suo distretto a luci rosse a fare da sfondo a una nuova serie HBO, The Deuce, creata tra gli altri da George Pelecanos (The Wire) e coprodotta dal grande scrittore newyorkese Richard Price.

Tra i coproduttori (e regista di alcune puntate) anche James Franco, che interpreta due gemelli: Vincent – un barista gentile, che ha problemi con la moglie e che si mette in società con un ristorante coreano in cui non mangia nessuno ma intorno al cui banco bar si raccoglie la fauna di prostitute, protettori, pornografi e lavoratori notturni che popolano la serie – e Frankie, la pecora nera di famiglia, pieno di debiti al gioco al punto che il fratello dice a tutti che è andato in Vietnam. Affascinato da sempre dai temi della sessualità, della pornografia e dal sottobosco della sex industry, Franco è una presenza naturale nella serie. Meno prevedibile, ma altrettanto efficace, quella di Maggie Gyllenhaal nei panni di Candy, una prostituta con la parrucca di ricci platino dura come l’asfalto (è l’unica a non avere un protettore) ma che poi accetta l’assegno di compleanno di un teen-ager al suo primo pompino. Come The Wire, e molta della contemporanea tv, The Deuce è un procedura -il commercio del sesso come lavoro. Ed è questo che, almeno per ora, la rende interessante.

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