A dispetto del suo sottotitolo, la quarta di copertina dell’ultimo libro di Paolo Nori avverte subito il lettore: I russi sono matti Corso sintetico di letteratura russa 1820-1991 (Utet, pp. 224, € 15,00) non ha alcuna pretesa accademica. Scrittore e traduttore, Nori ci racconta del suo rapporto con la Russia, con gli studiosi Šklovskij e Lotman, gli scrittori Puškin, Lermontov, Dostoevskij, Tolstoj, Goncharov, Dovlatov, i poeti Achmatova e Brodskij.
In modo «esilarante e rocambolesco, sbilenco e a suo modo intimo», l’autore passa in rassegna i principali scrittori russi alla ricerca di una definizione del loro genio. L’aggettivo «sintetico», spiega Nori, allude al costruire in base a elementi semplici e parziali una rappresentazione unitaria di questa letteratura, che circoscrive temporalmente tra il 1820 (Puškin) al 1991 (Venedikt Erofeev).

Nori oscilla tra il tentativo di definire la letteratura russa in sé, la sua differenza essenziale dalle altre letterature, e la sua negazione, ossia la constatazione dell’impossibilità di abbracciare l’inabbracciabile, come recita l’aforisma del poeta inesistente Koz’ma Prutkov più volte citato. Tra il socratico e il sornione, l’autore avverte circa la propria scarsa esperienza, (peraltro, ad esempio, gli esperti di Dostoevskij secondo Nori non esistono) e dichiara che la letteratura russa finisce nel 1991 perché con l’apertura al mercato perde la propria specificità.

La testa dei personaggi di Dostoevskij, dice l’autore, è una testa russa, squinternata e perciò stupefacente, mentre quella dei personaggi di Balzac è simile alla nostra. Così, i libri di Boris Akunin sono come quelli di Carlo Lucarelli: romanzi occidentali. Per ritrovare la letteratura russa, la cui prerogativa è suscitare in noi un senso di malessere esistenziale, vale rivolgersi solo agli autori del periodo indicato nel titolo. La rassegna ha inizio con un rimando metodologico a Šklovskij da cui Nori assume il concetto di straniamento come principio dell’arte narrativa (che definisce con una bella immagine: farsi crescere dentro una macchina per lo stupore).

Sebbene affronti il percorso della letteratura russa per temi (il potere, l’amore e il byt, il quotidiano), il punto di partenza è sempre autobiografico: riguarda il come, attraverso numerose interviste, seminari, articoli e lezioni, Nori abbia fatto propria quella letteratura. Per spiegare cosa sia il byt, per esempio, lo scrittore riporta dal suo blog una lunga serie di esempi di piccole azioni minime, insignificanti, quotidiane che suscitano piacere: questo per dire come i russi raccontandoci la loro vita quotidiana, ci raccontino la nostra.

L’autore prediletto di Nori è il fautore dell’assurdo Daniil Charms, di cui propone una selezione di traduzioni in appendice, ma soprattutto di cui assume lo stile. Così, questo libro suona come una sorta di romanzo autobiografico, e non importa se sono presenti abbagli o affermazioni discutibili (Puškin si mette a scrivere nella lingua dei servi della gleba?!) perché si tratta in fondo di immagini letterarie, di procedimenti per accendere la macchina dello stupore.