Che la Cop26 abbia lasciato irrisolti i principali nodi da sciogliere è cosa nota e ripetuta a più voci nelle ultime 48 ore. Restano invece da mettere a fuoco peso e portato delle opposte coordinate geografiche, non più solo nord-sud ma anche est-ovest, per comprendere come riescono a determinare o fermare i passi in avanti necessari.

Primo rapporto da analizzare è storico ed è quello Nord-Sud. Il principio delle responsabilità comuni ma differenziate impone ai paesi del Nord globale, che hanno emesso in atmosfera più gas serra, di compensare con misure più ambiziose e trasferimenti finanziari la minor responsabilità e maggior vulnerabilità del Sud globale. Questo principio, consacrato da Unfccc e Accordo di Parigi, informa il diritto climatico e dovrebbe guidare la definizione degli impegni internazionali.

Lo ha ricordato alla Cop26 Phuntsho Wangdi, bhutanese presidente del gruppo dei Paesi meno sviluppati «I progressi fatti sin qui sono assolutamente insufficienti. Le parole non bastano. Non possiamo lasciare Glasgow senza aver preso forti impegni che assicurino la sopravvivenza del miliardo di persone che vivono nei Paesi più vulnerabili». Invece Glasgow è stata lasciata senza che i forti impegni siano stati presi. Non solo quelli emissivi, ma anche quelli finanziari. Il “sincero rammarico” con cui la Cop26 ha di nuovo rimandato le decisioni sul fronte della finanza climatica, dopo due settimane di annunci e dichiarazioni di solidarietà, dà la misura del problema. Così, i 100 miliardi di dollari promessi da più di 10 anni sono spariti dall’accordo. È un altro esempio di come la relazione di forza tra Nord “ricco” e Sud “povero” disveli il suo carico di iniquità: anziché rimuoverle, le diplomazie del Nord lavorano, al di là della retorica, per cristallizzare le disuguaglianze.

L’altra geometria che condiziona la governance del clima è quella tra est e ovest del mondo ovvero tra occidente industrializzato (in particolare nord America e Europa) e colossi asiatici. Oggi la Cina emette in atmosfera il 27% dei gas serra globali, più di Stati Uniti, India, Russia e Giappone assieme. Il dato è da contestualizzare, come ha fatto a Glasgow il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Wenbin ricordando che «Le emissioni cumulative pro capite storiche degli Usa sono 8 volte quelle della Cina». Un recente studio di Bloomberg, intitolato “The Chinese Companies Polluting the World More Than Entire Nations” calcola il contributo dei settori industriali cinesi comparandoli con le emissioni di interi paesi. Manca però, nella ricostruzione, una domanda importante: chi consuma quei prodotti? La domanda proveniente da quali mercati è sostenuta dalle emissioni dei mega poli produttivi che dalla Cina spediscono merci in tutto il mondo? L’India da parte sua ricava ancora il 70% dell’energia dal carbone ed è previsto che nei prossimi 20 anni la domanda cresca più rapidamente che in qualsiasi altro paese.

Che il ruolo delle economie asiatiche, Cina in testa, nelle negoziazioni climatiche sia di massimo rilievo non vi è dunque dubbio. Come non vi è dubbio che sia un comodo alibi per i paesi occidentali additare i due colossi come i principali zavorre al varo di politiche efficaci. La verità, secondo Climate Action Tracker, è che nessun paese al mondo ha target compatibili con l’obiettivo 1,5°C. L’Europa e gli Usa sono classificati “insufficienti”. Australia, Canada, Indonesia, Brasile “altamente insufficienti”. Russia, Iran, Turchia “drammaticamente insufficienti”.

La questione è assai complessa. L’obiettivo, tuttavia, è unico: ridurre le emissioni in misura sufficiente a non discostarsi dalle traiettorie di sicurezza disegnate dalla scienza. La divisione delle responsabilità non è aritmetica e deve calmierare criteri diversi: carbon budget nazionale, carico emissivo pro-capite, approcci di equità. Tenendo in conto che la nuova geopolitica globale è policentrica, anche se i commentatori politici che continuano ad assegnare a UE e USA la leadership mondiale stentano a farci i conti. Per fare passi avanti ci vuole più di uno sforzo diplomatico, ci vuole autentica cooperazione e una buona dose di lungimiranza.

L’autrice fa parte di Associazione A Sud