Ufficialmente, Ramadan non esiste. Nato in Macedonia e abbandonato dai genitori, non è mai stato registrato e non ha mai avuto documenti d’identità. Non può lavorare o avere accesso a cure mediche. Non ha nemmeno diritto a sposarsi ed essere genitore: solo la sua compagna Elena ha potuto riconoscere i loro figli. Qual è la sua colpa? essere apolide. Un apolide è una persona senza cittadinanza, senza uno Stato alle spalle pronto a proteggerla e riconoscerle i diritti. In molti casi, come in quello di Ramadan, non è solo la cittadinanza a mancare, ma il riconoscimento stesso dell’esistenza della persona. La campagna #NonEsisto, www.nonesisto.org, realizzata dal Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) con il sostegno della Open society foundations, mira a far conoscere la condizione di migliaia di persone apolidi: in Italia si stima siano circa quindicimila. Un esercito di invisibili a cui vengono negati i diritti fondamentali della persona, come il diritto all’istruzione e alle cure mediche.

In Italia gli apolidi sono spesso persone originarie della ex Jugoslavia: la guerra e la disgregazione degli Stati hanno portato, tra le altre problematiche, alla distruzione degli archivi anagrafici e alla conseguente perdita dell’identità di molti. Per colpe non loro e indipendentemente dalla propria volontà, gli apolidi vivono in una condizione di incertezza e pericolo e sono facili vittime di sfruttamento lavorativo. A rendere il tutto più drammatico è il fatto che l’apolidia può essere ereditaria. Molti bambini nati in Italia da genitori apolidi non riconosciuti si trovano in una condizione di irregolarità, e spesso non possono neanche aspirare a ottenere la cittadinanza italiana. Trasmettere l’apolidia ai propri figli può significare condannarli a una vita senza opportunità: per un apolide nulla è scontato, nemmeno camminare per strada senza paura di essere fermato e trattato da irregolare.

Cosa sta facendo l’Italia per loro? Non abbastanza, purtroppo. Il nostro paese ha infatti ratificato la Convenzione relativa allo status degli apolidi del 1954 e ha da poco aderito alla Convenzione delle Nazioni unite sulla riduzione dei casi di apolidia del 1961, ma manca ancora una norma che garantisca una procedura semplice e realmente fruibile per il riconoscimento dello status di apolidia. Infatti le due procedure ad oggi esistenti, una amministrativa e una per via giudiziaria, risultano il più delle volte inaccessibili: poco coerente la prima – per la quale nella pratica viene richiesto la presentazione del permesso di soggiorno a persone che spesso non posseggono alcun documento – troppo onerosa la seconda. Gli interessati restano così in un vacuum di identità e diritti. Per ottenere finalmente una legge organica in materia, il 25 novembre scorso la Commissione Diritti umani del Senato, in collaborazione con il Cir e l’Unhcr, ha presentato il disegno di legge sul riconoscimento dello status di apolide. Non si chiedono privilegi o scorciatoie, si chiedono diritti.

* Consiglio italiano per i rifugiati