«Le elezioni? Un disastro completo». Najiba Ayubi la pensa diversamente dal presidente Ashraf Ghani, che ha parlato di «successo» per le elezioni parlamentari tenute sabato e – inaspettatamente – domenica in Afghanistan. Direttrice di Radio Killid, rete di radio indipendenti con sedi in molte province del paese, Ayubi è tra i cittadini che non sono andati a votare. Tanti.

Secondo la Commissione elettorale indipendente, sarebbero stati 4 milioni gli afghani che hanno votato. Un numero eccessivo, notano i ricercatori dell’Afghanistan Analysts Network di Kabul. Anche se si trattasse di 4 milioni, si tratterebbe comunque di meno della metà degli 8.5 milioni di afghani registrati nelle liste elettorali su un bacino di cittadini eleggibili di circa 15 milioni e su una popolazione di 35 milioni (ma non esistono censimenti recenti). A votare, dunque, soltanto una minoranza.

Diverse le ragioni, due più rilevanti delle altre: l’insicurezza e la sfiducia nel sistema politico ed elettorale. I Talebani non hanno fatto il colpaccio clamoroso, ma – lontano dai riflettori, concentrati su Kabul – hanno dimostrato di controllare il territorio. Hanno intimidito, minacciato, negato il diritto al voto in molte aree rurali, lontane anni luce dalle principali città come Herat e Kabul, dove la partecipazione è stata alta. Le forze di sicurezza hanno dimostrato di essere più affidabili di quanto ci si aspettasse, ricevendo il plauso generale, ma anche i barbuti incassano un dividendo politico, perché sono riusciti a sabotare le elezioni senza affondare troppo il colpo sulle vittime civili: 17 secondo il ministero degli Interni, ma anche qui i numeri sembrano inverosimili, al ribasso. Così come è poco verosimile che sia stato aperto il 92% (circa 4.500) dei circa 5.000 centri elettorali previsti, come dichiarato dalla Commissione.
Un documento interno dello stesso organismo recita infatti che soltanto il 63% (circa 3.200) avrebbe aperto. Una differenza sufficientemente ampia da permettere di manipolare i risultati finali. E la stessa decisione di aprire alcuni seggi nella giornata di domenica, non prevista, dà molto da pensare qui a Kabul.

Ecco la seconda ragione che ha tenuto gli afghani lontani dalle urne: la sfiducia in un sistema considerato troppo corrotto per essere riformabile. «Non ho votato perché il mio voto non sarebbe stato al sicuro. Il sistema è troppo opaco», continua Najiba Ayubi. «Qualche candidato presentabile c’era, anche qualcuno serio e onesto, da sostenere, ma il voto sarebbe valso carta straccia». Le elezioni non sono finite con la chiusura delle urne. La parte più difficile arriva ora. La Commissione per i reclami dovrà verificare le migliaia di segnalazioni ricevute. La Commissione elettorale indipendente dovrà assegnare i seggi. La comunità internazionale dovrà fare buon viso a cattivo gioco plaudendo alla democrazia. Gli elettori, invece, potranno sapere se hanno avuto ragione a fidarsi delle istituzioni a partire dal 10 novembre, con l’arrivo dei primi risultati parziali. Quelli finali il 22 dicembre.