Valeria, il suo contratto a termine con Anpal servizi, una società in house dell’agenzia tecnica del Ministero del lavoro e braccio operativo dell’agenzia nazionale delle politiche attive (Anpal), scade il 31 luglio, dopo 24 mesi. Perché ha scritto su twitter al segretario del Pd Maurizio Martina e al ministro del lavoro Luigi Di Maio di smetterla di strumentalizzare la sua situazione?
Perché tramite me si vuole attaccare il Movimento 5 Stelle e a me questo proprio non interessa. Il Pd e Martina parlano come se fossero arrivati dalla luna, ma sono responsabili più di questo governo. Le loro responsabilità sono gravi e precise: hanno fatto il Jobs Act. Il problema nasce dal titolo di un giornale che è sembrato attribuire al decreto dignità l’esclusiva causa del mancato rinnovo del mio contratto. La situazione è più complessa perché il precariato negli enti pubblici ha radici lontane. Insieme a me c’è un’altra collega. Noi non siamo state rinnovate a causa del decreto dignità, ma per una volontà aziendale di non intraprendere la strada delle stabilizzazioni.

Potreste rientrare nel periodo transitorio previsto da un emendamento al decreto approvato alla Camera che rinvia il provvedimento al primo novembre. Nel frattempo il vostro contratto potrebbe essere rinnovato…
Se la norma fosse pubblicata in Gazzetta Ufficiale entro martedì prossimo sì, ma non credo che questo sia possibile. Il punto è che il decreto dignità, di fatto, pone un limite. L’azienda, invece di stabilizzarci, ci manda a casa. Se invece ci stabilizzasse, il problema non si porrebbe.

È vero che Anpal servizi ha deciso di motivare i rinnovi con la sostituzione delle lavoratrici in congedo di maternità e dei lavoratori in aspettativa e non ha rinnovato lei che ha avuto un bambino?
Il bambino è nato da 15 giorni e sono in maternità obbligatoria. La spiegazione che mi è stata data telefonicamente cinque giorni prima dalla scadenza del contratto è stata che, essendo io in congedo, e quindi assente, non posso sostituire chi a sua volta è assente. Per questo resto fuori. Per esigere il mio diritto di maternità obbligatoria non mi viene garantito il diritto alla continuità occupazionale. È assurdo che il diritto-dovere alla maternità limiti la mia possibilità di proseguire un rapporto di lavoro.

Ritiene che il problema della vostra vicenda nasca dalla mancata volontà di Anpal Servizi di stabilizzare i suoi ottocento precari?
È così. La precarizzazione in Anpal servizi ha radici lontane. L’azienda si avvale di contratti di collaborazione e a tempo determinato in maniera strutturale. Lo fa da vent’anni, da quando c’era un’altra agenzia che si chiamava «Italia Lavoro». Il personale è per oltre il 60 per cento precario. Ci sono collaboratori a tempo determinato o cocopro che scadranno a scaglioni tra il 2019 e il 2020 e hanno storie di precariato di 12 o 13 anni. Tutto questo non è una novità. L’azienda guidata da Maurizio Del Conte dal gennaio 2017 ha stabilizzato cinquanta persone. Le altre stabilizzazioni sono state bloccate. In un’audizione al Senato Del Conte ha dichiarato che bisogna sostenere la battaglia contro la precarizzazione. Il problema è che se si inizia un piano di stabilizzazione che non viene proseguito e, quando si presenta l’occasione di stabilizzare, questo non viene fatto, allora il messaggio è che l’azienda non ha intenzione di stabilizzare nessuno.

I suoi colleghi chiedono la stabilizzazione e sono mobilitati. Condivide l’iniziativa?
Sì, certo.

Pensa che il suo futuro sarà in Anpal Servizi?
Questo dovrebbe chiederlo all’amministratore unico.

In commissione al Senato Del Conte ha detto di essere d’accordo…
Dovrebbe iniziare a stabilizzare me e la collega che non è stata rinnovata a causa del superamento del numero massimo dei rinnovi possibili, e poi continuare con tutti gli altri che hanno situazioni ben più antiche di precariato e avrebbero più diritto di noi ad essere stabilizzati.

Quello che colpisce è che voi precari dovrete aiutare precari e disoccupati a trovare un lavoro nel nuovo sistema delle «politiche attive» basato su quello che il governo chiama «reddito di cittadinanza». Come si vive in questo paradosso?
Se non hai la prospettiva di avere un lavoro stabile è difficile convincere qualcun altro che lo troverà. È difficile convincere qualcuno che avrà un futuro se tu sei la prima a non averlo.