Nel suo libro ’Qualcuno ci giudicherà’ (Einaudi), da ieri in libreria, scrive: se il governo non comincia a scontrarsi con gli interessi veri «dovrò prendere le mie carabattole e provare un’altra strada». Pippo Civati, è l’annuncio che esce dal Pd? Oppure resta?

Resto. La mia è una battaglia per il pluralismo e per un mandato elettorale chiaro. E se non si vota più, per le ragioni di quelli come me è un’agonia. È un problema.

Si voterà nel 2018.

Appunto. Questa legislatura, basata su uno schema non votato, con profili incerti da molti punti di vista a cominciare da quello della Consulta, doveva finire in tempo ragionevole. Letta aveva detto nel 2015. Se invece il Pd diventa alleato permanente della destra oltre l’emergenza, non me ne vado io, è che il Pd se ne va da un’altra parte.

Si è dato un limite?

Su alcune questioni. Chi ha perso le primarie deve essere mortificato o ha voce in capitolo su qualcosa? Prendiamo la riforma del senato: noi molte cose le avevamo dette. Ora facciamo diventare uno statista il Calderoli reloaded?

Ma il ‘suo’ Mineo al momento del voto sull’odg Calderoli era assente. Così fate l’opposizione?

Era al telefono con un autorevole membro dell’esecutivo.

Era al telefono con Renzi?

Lo chieda a Mineo.

Gli ha telefonato per distrarlo?

Il problema è che se le minoranze si cercano il giorno del voto, quando si scopre che non c’è la maggioranza in commissione, il rischio di incidente ci sta. Dopodiché Mineo non ha votato contro il testo del governo per responsabilità.

Siete minoranza, è legittimo che lui non faccia quello che dite voi.

Renzi ha preso 2milioni e 800mila voti, io 400mila, quindi rispetto il risultato e voto disciplinatamente ogni fiducia. Riconosco che la spinta popolare, anche se non elettorale, c’è. Ma chiedo: i 400mila miei voti e magari qualche centinaia di Cuperlo interessano? Se sì, e non c’è il riconoscimento di un’area, è un problema: non per me, ma per la dispersione di voti a sinistra. Il Pd, dice Pagnoncelli, conferma solo il 50% dei propri elettori, il resto li prende fuori. Interessante:ma vorrei confermarne qualcuno in più.

In teoria la sua corrente ha un uomo in segreteria, Taddei, e una donna al governo, Lanzetta.

Li ha scelti Renzi, senza nessun confronto. Ma il problema è politico. Il Pd vuole distinguere fra destra e sinistra? E concepirsi come un campo largo?

Pensa a un altro partito?

No. E non mi interessa fare il partito ‘Tsivati’, cioè la lista Tsipras più Civati. Vorrei un Pd al 40 per cento che guarda anche verso sinistra e che dentro possa organizzare un pensiero e delle proposte.

In Sel c’è chi le strizza l’occhio in vista di un dopo Europee?

Nel caso, andrei con Sel per portarla nel Pd. Scherzo. Faccio una proposta: organizziamo iniziative, più che in passato. L’idea del ’nuovo centrosinistra’ al senato è quella, si è manifestata nelle 37 firme sotto il dl Chiti: non un gruppo, non una scissione, ma un lavoro politico.Vorrei che si tornasse a votare con tutto il centrosinistra. D’Alema dice: ‘due sinistre sarebbero un’idiozia’. Io però ne vorrei almeno una.

È un invito a Sel a entrare nel Pd?

Ho un dialogo forte sia con la componente ’più Tsipras’ che con quella ’meno Tsipras’, ma è naturale. Vorrei una delegazione del Pd che non fa le larghe intese anche in Europa ma ragioni con i verdi e con Tsipras. I candidati di ’Civoti’, oggi con il segno della mela rossa, lavoreranno su questo. Eleggerli sarebbe il ripensamento di cos’è il Pd. L’avevo chiesto alle primarie, oggi non sarei quello che accoglie eventuali fuoriusciti, ma quello coerente con un disegno politico. Oggi il Pd guarda solo a destra: critica Camusso e vota Sacconi. Non è un po’ troppo?

Nel suo libro usa parole molto dure sulla liquidazione di Letta da Palazzo Chigi. Eppure eravate avversari, Letta l’ha definita ’fighetto’ e ’twitterista’.

Ma non mi sono offeso. Il suo disegno non era giusto, e non lo è tuttora, ma lui è una persona corretta, e con me è stata leale.

Invece esprime grande amarezza per la rottura con Renzi, avvenuta subito, alla prima Leopolda.

L’evoluzione di quella Leopolda fu molto leaderistica, lontana da quello che avevamo pensato di costruire. Mi rammarico per uno spirito di collaborazione che non c’è stato. Forse Matteo ha vissuto male che non apprezzai la sua visita ad Arcore. Forse pensava che fossi iscritto al suo seguito. Mi dispiace che non siamo riusciti a riprenderci mai. Un po’ per la politica e un po’ per i suoi atteggiamenti. Anche le sue primarie andavano in un’altra direzione: il superamento delle larghe intese. Una collaborazione con noi era possibile, se avessimo messo in cantiere il voto in cantiere. La coerenza ormai non si chiede più a nessuno. Ma un po’ di linearità?