I venti milioni stanziati nella legge di bilancio per concedere gratuitamente le terre pubbliche incolte, e mutui a tasso zero ventennali alle famiglie disposte a dare alla luce il terzo figlio tra il 2019 e il 2021, hanno provocato la rivolta del movimento femminista «Non una di meno». «È una misura che sembra provenire dal secolo scorso – si legge in un post su facebook rilanciato anche su twitter – Che si dice, invece, su: asili nido, sanità, scuola, università, lavoro, welfare? Se fare o non fare il primo, il secondo, il terzo figlio lo decidiamo solo noi». E ancora: «Non vogliamo premi, vogliamo ciò che ci spetta: un reddito di autodeterminazione per essere libere di scegliere sempre!».

LA RIVENDICAZIONE di un «reddito di autodeterminazione» è una delle proposte contenute nel «Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne» prodotto da una lunga elaborazione collettiva del movimento in questi anni. Questa elaborazione contiene i seguenti elementi: «Garantisce un aiuto
concreto che permetta una più veloce fuoriuscita dalla violenza e/o un’efficace prevenzione del rischio di recidiva di maltrattamenti» si legge nel «piano». Il reddito è considerato uno degli strumenti per liberare le donne dallo stato di «”vittimità” e dipendenza e per porre al centro la riaffermazione della loro autonomia».

INSIEME al «Ddl Pillon», la biopolitica agricola di un governo che intende incentivare il ritorno alla «famiglia contadina» costituiranno gli obiettivi polemici dello «stato di agitazione permanente» dichiarato dal movimento in vista delle mobilitazioni dislocate del 10 novembre e della manifestazione nazionale del 24 novembre.

LA PROPOSTA DI OFFRIRE un patto finanziario, e l’opportunità di tornare alla terra, alle famiglie numerose è stata approfondita ieri da vari esponenti del governo, probabilmente colpiti dal clamore mediatico, e sui social network. L’idea è partita dal ministro leghista all’agricoltura Centinaio, da quello alla famiglia Lorenzo Fontana e da quella alle regioni Erika Stefani – entrambi leghisti. La triade ha pensato in questo modo di «mantenere il presidio territoriale per agevolare l’inserimento e il mantenimento della popolazione nelle zone rurali più marginali e di montagna» ha spiegato la sottosegretaria alle politiche agricole Alessandra Pesce, già indicata come ministra dell’Agricoltura da Luigi Di Maio per un governo Cinque Stelle. A questa misura, sostiene Pesce, è stato affidato il ruolo di «dare un contributo decisivo per favorire le aree rurali, dove figli se ne fanno ancora». Secondo Donatella Agostinelli, senatrice M5S e membro della commissione agricoltura, lo scambio tra un figlio e la disponibilità a coltivare la terra per lo Stato andrebbe «incontro alle esigenze di migliaia di agricoltori».

NELLA STRATEGIA RITAGLIATA sul ruolo riproduttivo delle donne, e una specifica idea di famiglia, si intravede dunque una strategia economica. Un’analisi di Coldiretti, ricavata sulla base di un report Istat sulla ricchezza non finanziaria, in Italia esistono terreni agricoli per un valore di 9,9 miliardi di euro. Tale valore è detenuto dalle amministrazioni pubbliche che, con proposte come queste, sono sollecitate a «mobilitare» a tutti i costi. L’obiettivo è quello di incrementare il valore delle attività agricole. Negli ultimi 15 anni sarebbero aumentate del 31%. Nelle pieghe della proposta c’è anche un altro elemento: definire una concessione alle società costituite da giovani imprenditori agricoli che riservano una quota societaria del 30% ai nuclei con un terzo figlio nato nel prossimo triennio.