L’emendamento al Milleproroghe sulla regolamentazione degli affitti brevi attraverso le piattaforme digitali come Airbnb è stato ritirato dal primo firmatario Nicola Pellicani (Pd). Avrebbe iniziato a imporre ai comuni di rilasciare una licenza ad hoc e l’obbligo di fissare un tetto alla durata dei soggiorni nell’arco di un anno anche nei centri storici delle città italiane. Per poter dare in affitto più di tre stanze, anche se distribuite in più unità abitative e anche per meno di otto giorni, i privati avrebbero dovuto aprire una partita Iva. «Ho accolto l’invito del governo al ritiro perché si è impegnato a riprendere i contenuti dell’emendamento nel collegato alla Legge di Bilancio sul turismo. Il testo arriverà in parlamento a giorni» ha detto Pellicani.

La promessa di affrontare il problema scottante in maniera organica è stata usata per evitare uno scontro nella maggioranza con i renziani di Italia Viva. «Non condividiamo questo emendamento e non lo voteremo – ha scritto due giorni fa Luigi Marattin su Twitter – Una migliore regolamentazione non ha nulla a che vedere con maggiore burocrazia, con il blocco del mercato e con il freno ad un’attività che finora ha stimolato turismo e ha portato benefici a tutti». «Marattin difende gli interessi dei grandi speculatori immobiliari e di multinazionali che evadono sistematicamente il fisco, non difende coloro che, per avere un’integrazione al reddito, affittano la loro casa o le stanze momentaneamente vuote dei loro immobili – sostengono gli attivisti del laboratorio «Pensare Urbano» – Ciò che ci preoccupa maggiormente è l’incapacità dei maggiori partiti governativi di non dare seguito alle promesse fatte più e più volte».

«Il ritiro dell’emendamento sugli affitti brevi è una decisione grave, sbagliata e incomprensibile – sostiene Daniele Barbieri, segretario generale del sindacato Sunia – È bastata una levata di scudi delle multinazionali del settore e della proprietà edilizia per convincere una parte della maggioranza a fare muro. Sarebbe importante anche pensare all’utilizzo in alcune realtà delle aree interne per sviluppare una rete di ospitalità che possa rivitalizzare borghi spopolati ed in molti casi abbandonati. Per questo pensiamo sia necessario aprire al più presto un confronto tra le istituzioni e le parti sociali».

«Prendiamo atto con soddisfazione del ritiro dell’emendamento – ha detto il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa – Si sta legiferando ormai ad un ritmo incessante e non si sentiva certo il bisogno di un ennesimo intervento normativo». Più che altro esperti e alcuni enti locali, non solo italiani, lamentano l’assenza di una legislazione nazionale e europea sulla materia. In base a queste regole si dovrebbero anche riconoscere coloro che fanno impresa da coloro che non intendono farla. Su questo punto le opinioni, sempre molto ideologizate, divergono profondamente. «L’emendamento si configurava come un vero e proprio attentato alla libertà di impresa nei confronti di aziende che portano turisti, pagano le tasse e producono occupazione e ricchezza sui territori» ha sostenuto ad esempio Marco Celani, amministratore delegato di Italianway. Segue una curiosa teoria per cui una maggiore regolamentazione agevoli «l’arbitrio dei Comuni e non serve a far emergere il nero, tutt’altro lo favorisce». Secondo questa associazione «il 75% delle prenotazioni nel settore extra alberghiero non passa dal web».

Il dato è dell’Osservatorio innovazione digitale sul turismo del Politecnico di Milano secondo il quale «la condivisione di alloggio tra privati (impropriamente definita sharing economy) che supera il 30% del mercato digitale degli alloggi». I dati dell’infografica che pubblichiamo registrano l’entità del fenomeno. È anche questo mercato che va regolamentato, insieme agli effetti che produce sugli affitti, sulla concentrazione della ricchezza immobiliare e il precariato abitativo.