Caro direttore,

la domanda di Paolo Berdini, contenuta nell’articolo da voi pubblicato dal titolo «Marino non ha colpe, perché tace» mi offre l’occasione per fare chiarezza, ancora una volta, su un tema che è stato in questi giorni al centro delle cronache nazionali e sul quale sono state pronunciate anche affermazioni inesatte. Non sfuggo alla domanda più incalzante. Penso che i cittadini siano stanchi di assistere al balletto delle responsabilità, quello che quasi sempre accompagna il passaggio di consegne di amministrazioni di segno politico opposto.

I romani hanno il diritto di ricevere indicazioni chiare e soluzioni che migliorino nell’immediato le loro condizioni di vita. Di questo mi sono occupato sin dal primo momento. Uno dei primi atti è stato, infatti, chiedere al Mef di certificare lo stato dei conti di Roma Capitale. In questo modo ho voluto eliminare ogni spazio interpretativo: la gestione delle risorse pubbliche impone sobrietà e rigore. Le responsabilità dell’attuale situazione sono evidenti, basta leggere i dati recentemente pubblicati del Ministero dell’Interno.

Nei 5 anni che hanno preceduto il nostro insediamento, la spesa dell’amministrazione è lievitata di oltre 1 miliardo di euro. A determinare questa situazione hanno concorso una serie di cause: su tutte una cattiva gestione delle risorse e scelte profondamente sbagliate. Nello stesso periodo la Regione Lazio, allora governata dal centrodestra e il Governo Monti ridussero drasticamente i trasferimenti destinati alla Capitale, con particolare riguardo al trasporto pubblico locale.

Ci siamo così trovati ad approvare un bilancio di previsione 2013 con 816 milioni di disavanzo e con tempi da bilancio consuntivo, a dicembre 2013, e per di più con gran parte dei fondi già impegnati nel primo semestre. Un bilancio che abbiamo potuto approvare grazie alle norme del Governo e attraverso un decreto (il primo) che ha consentito a Roma la restituzione di somme anticipate alla gestione commissariale, risorse dei cittadini versate attraverso i tributi.

Da allora quell’insieme di misure che hanno consentito a Roma di porre fine a un esercizio bloccato da 1 anno, è stato definito, a mio avviso maldestramente, «Salva Roma». Eppure a Roma non è stato concesso alcun trasferimento ulteriore né nuovi fondi dal resto d’Italia. E arriviamo a oggi: l’ultima versione di quel decreto prevede la messa in sicurezza dei conti e un percorso di risanamento. Obiettivi che condividiamo e che noi stessi abbiamo invocato. Il nostro scopo è razionalizzare e rendere più efficiente l’amministrazione di Roma Capitale e delle società capitoline. Non certo privatizzare o svendere i gioielli cittadini.

Penso che la difesa della natura pubblica di Acea sia anche una vittoria di questa amministrazione. Abbiamo proceduto, nell’ottica della legalità, al rinnovo dei vertici e al ridimensionamento del personale dirigente di quelle aziende che sono finite negli ultimi anni nell’occhio del ciclone per vicende di malaffare e sprechi, nonché approvato una centralizzazione degli acquisti che produrrà, a regime, un risparmio di circa 60 milioni di euro solo nelle partecipate e complessivamente di circa 260 milioni di euro all’anno. Uno dei primi provvedimenti di questa amministrazione è stato fermare un bando della precedente amministrazione che prevedeva l’edificazione in 2965 ettari di agro romano, per 161 progetti.

Non ho mai fatto mistero della mia idea di città, tanto che ho deciso di dedicare un Assessorato proprio al tema della Rigenerazione urbana: una visione di sviluppo di città basata sul recupero dell’esistente piuttosto che sul consumo di suolo. Punteremo invece a realizzare nuovi alloggi popolari. L’espansione smisurata della superficie edificabile ha prodotto gravi dissesti idrogeologici. Le risorse che otterremo dalla vendita del patrimonio pubblico, composto da alloggi e locali residuali e in parte non utilizzati, sarà interamente e obbligatoriamente utilizzato per un grande piano di edilizia residenziale pubblica, basato in primo luogo sul recupero e autorecupero di edifici dismessi a partire dai beni demaniali che abbiamo chiesto allo Stato. Per ogni alloggio o locale che riusciremo a vendere vogliamo realizzare 3 alloggi popolari. Non una vendita, dunque, ma una rigenerazione e un incremento del patrimonio pubblico.

Sono queste le idee e le proposte che ho sempre sostenuto sin dalla campagna elettorale. Ma non mi sono fermato alla denuncia. Non ho mai nascosto le mie convinzioni, consapevole del fatto che ciò può procurarmi anche critiche e resistenze. Il mio compito di sindaco è quello di aggredire i problemi cronici di Roma con metodo, per restituirle una visione di lungo respiro.