Solide radici nei ritmi afro americani dell’hip hop, mescolati a una capacità di trasmettere la sensualità assoluta della melodia, come nella tradizione della soul music. Un dj che viene dai virtuosismi con i giradischi, Stefano Fontana, nome d’arte Stylophonic, che ha conquistato, nel corso degli anni, le piste da ballo di tutto il mondo con brani come Pure Imagination. Poi, la collaborazione con Jovanotti per il quale ha prodotto l’album Buon Sangue e adesso il nuovo disco, in uscita dopo l’estate, che documenta una serie di incontri con celebri pop star italiane. La prima, Giuliano Sangiorgi, voce nel singolo Boom!

Fontana, i dj sono davvero le nuove popstar? È cambiata in maniera così profonda la loro identità?

Sicuramente, in questi giorni viviamo la definitiva concretizzazione di quel cambiamento iniziato negli anni 90 con personaggi come i Chemical Brothers, Fatboy Slim, Carl Cox e tanti altri, che già si imponevano per i loro live spettacolari, conquistando quello spazio che prima apparteneva solo al rock. Con loro il dj style diventa, da fatto musicale underground, fenomeno di costume. Poi, come è sempre accaduto nella storia delle culture giovanili, l’arrivo di questi artisti in America ne ha decretato il successo planetario come pop star. Qui la musica elettronica si è arricchita di effetti, di contenuti appariscenti buoni per riempire e conquistare gli stadi. E artisti come David Guetta e Bob Sinclar hanno trovato lì l’apparato scenografico necessario per fare concorrenza alle pop star.In America, insomma, il talento di questi dj ha incontrato la grande imprenditorialità dello spettacolo.

Insomma, si tratta solo di show per il piacere degli occhi?

Per nulla, siamo nel campo dell’altissimo entertainment, certo, ma creato con una grande attenzione e rispetto per la musica. Questi dj hanno tutti una solida formazione musicale, penso a Calvin Harris o a Bob Sinclar, che fa le canzoni con Raffaella Carrà, ma ha anche una incredibile capacità di sintesi e di rilettura personale della black music.

E dal punto di vista del pubblico? Perché i ragazzi subiscono il fascino di queste figure che muovono delle manopole e si dimenano circondati da fuochi d’artificio?

Proprio per la potenza dello spettacolo, dei visuals, è come andare al cinema, ma insieme a decine di migliaia di coetanei: C’è il piacere di stare insieme, ascoltano musica generata da un campionatore, che è un oggetto un po’ più attuale per una generazione cresciuta in mezzo ai microprocessori e agli schermi ultrapiatti.

C’è un gruppo, in particolare, che ha segnato questa trasformazione?

I Daft Punk, loro, più di tutti, già qualche anno fa, proponevano uno spettacolo che non aveva più nulla a che fare con i live della dance. Sul palco avevano una gigantesca piramide, che si apriva nella parte finale e loro uscivano dalla sommità, quasi fossero non dei dj, ma delle divinità kitsch. E il pubblico impazziva, li idolatrava. Da allora, nulla è stato più come prima. Come negli hotel di Las Vegas, la capitale mondiale dello spettacolo, che, non a caso, è la nuova capitale mondiale dei live della dance music. Che, tra qualche anno, prenderà il posto, nel cuore dei frequentatori della città nel deserto, degli show del Cirque du Soleil.