È  accaduto ciò che si aspettava da oltre mezzo secolo. Cuba e Stati Uniti tornano paesi non belligeranti, legati da reciproche influenze culturali. «Diversi ma amici», come ha detto Barack Obama in un efficace discorso al Gran Teatro dell’Avana nel quale ha liquidato i residui di «guerra fredda» e assicurato che «il futuro dell’isola è nelle mani dei soli cubani».

In più, ha confermato che farà di tutto per convincere il Congresso americano a cancellare quello che resta dell’embargo economico più lungo della storia, già allentatosi dopo decine di provvedimenti bilaterali degli ultimi mesi. Obama non poteva evitare di aggiungere che lui crede nella democrazia politica come unico strumento di emancipazione e libertà, toccando così il nervo scoperto del monopartitismo cubano.

Ora tocca soprattutto ai successori di Obama e Raúl Castro, il primo lascerà il suo mandato a novembre 2016 mentre il secondo ha annunciato che lo farà nel 2018, raccogliere il testimone di questa svolta politica. Gli Stati Uniti incrementeranno intanto la loro presenza economica nell’isola con l’obiettivo dichiarato da Obama della «riconciliazione» che riguarda pure diverse generazioni di cubani, quelle che sono restate nell’isola e quelle che l’hanno abbandonata. Cuba è probabile che risponderà alle mosse statunitensi con più nette riforme verso una economia mista, cercando di salvaguardare le conquiste del proprio modello sociale in tema di sanità, istruzione, assistenza.

Sul piano più squisitamente culturale e politico, si è già avviato un interessante dibattito sul tema della «nazione cubana», utile a mettere in guardia dalle rinascenti tentazioni all’annessionismo alla bandiera a stelle e strisce che hanno sempre accompagnato la storia di Cuba fin dalla conquista dell’indipendenza dalla Spagna nel 1898. Il problema, come allora, torna quello di come non farsi soffocare dal potente vicino. Su tale problema la rivoluzione cubana misurerà cosa ha seminato dal 1959 in poi. E sui temi dell’indipendenza può addirittura allargare la propria base di consenso.

Liberalizzando ulteriormente l’economia, prima o poi Cuba dovrà però anche ripensare inevitabilmente il proprio modello politico. Quando emergono nuove figure sociali (per esempio i cuentapropistas), è più difficile semplificare la rappresentanza politica dei vari interessi. Inutile negare che pluralismo e diversità di opinioni non facciano problema pure a L’Avana.

La storia nuova di Cuba che ora inizia non è meno importante e affascinante di quella che sta alle spalle, fatta di resistenza all’embargo e di no all’omologazione politica a cui L’Avana non si è arresa anche dopo la fine del «socialismo reale» nel 1989. Il gruppo dirigente storico della rivoluzione – con Fidel Castro ancora presente – consegna alle giovani generazioni un’isola non ripiegata su se stessa e orgogliosa della propria storia, capace di ricevere Obama senza timori, mostrando in diretta tv tutte le tappe della sua visita e di discutere con lui alla pari. Non si poteva pretendere di più. C’è in questa sfida accettata da Cuba una saggezza politica che va apprezzata, se non addirittura ammirata.

C’erano alternative percorribili? Probabilmente no, se non il chiudersi in una sorta di bunker accettando l’inevitabile declino e rischi di implosione. Ora assistiamo invece al fenomeno della “cubamania”. Tutti parlano di Cuba, tutti vogliono visitare Cuba, tutti vogliono investire a Cuba. L’arrivo dei Rolling Stones apre la strada al altri eventi non solo musicali di portata mondiale. Ecco così che l’isola ha spiazzato ancora una volta i suoi nemici.