Nel secondo giorno dopo il (non) verdetto di Ferguson si sono registrate proteste in centinaia di località americane: da manipoli di studenti su campus universitari a cortei di molte centinaia di persone nelle principali città. Nella stessa Ferguson i manifestanti si sono nuovamente dati appuntamento in vari punti della città malgrado gli ulteriori 2000 agenti della guardia nazionale mobilitati dal governatore. Dopo la prima notte di passione le proteste sono rimaste perlopiù pacifiche anche se ci sono stati una quarantina di arresti in seguito al tentativo di dare fuoco ad una volante della polizia. Una prima vittima accertata degli scontri è stata intanto rinvenuta in un’auto parcheggiata davanti agli appartamenti Canfield, le case popolari in cui abitava lo stesso Michael Brown e davanti alle quali è stato ucciso. Si tratta del diciannovenne Deandre Joshua ucciso da un colpo di arma da fuoco di ignoti. La polizia dichiara di aver aperto un’indagine ma per dare l’idea dell’amarezza che regna a Ferguson, la madre ha già detto «se ne fregano, tanto è nero».

A New York il concentramento è stato nuovamente a Union Square da dove un migliaio di persone si sono dirette in ordine sparso verso Times Square, mentre altri cortei spontanei hanno bloccato la tangenziale Fdr e a intermittenza l’accesso ai ponti di Brooklyn e Williamsburgh. La polizia si è perlopiù limitata a controllare a distanza secondo le consegne del commissario Bratton che ha dichiarato che ai manifestanti sarebbe stato «dato spazio» anche se a Times Square una decina di arresti ci sono stati. A Los Angeles le proteste sono state organizzate in rete dal coordinamento online «hands up don’t shoot» – riferimento alle parole che Michael Brown avrebbe pronunciato alzando le mani in segno di resa prima di essere crivellato dai colpi dell’agente Wilson. Sin dal pomeriggio un concentramento a Leimert Park nel quartiere nero di Crenshaw ha radunato centinaia di manifestanti che si sono diretti alla centrale di polizia a downtown. Un altro drappello è nuovamente salito sulla Hollywood Freeway bloccando l’autostrada all’ora di punta con barricate di fortuna provocando un mastodontico ingorgo. La polizia ha effettuato più di cento arresti.

Altre azioni sono registrate a Minneapolis e Oakland, «capitale afroamericana» del west con una forte tradizione di militanza, dove gli scontri sono stati più duri, con cariche della polizia e l’incendio di cassonetti e alcuni negozi. Infine Cleveland, dove l’indignazione per il caso Brown è confluita nella rabbia per l’ennesimo caso di brutalità omicida a sfondo razziale avvenuto solo sabato scorso: l’uccisone di Travis Rice, un bambino nero di 12 anni ucciso dai proiettili della polizia perché sorpreso con una pistola ad aria compressa nei pressi di un parco giochi. Mentre il paese tenta di metabolizzare i fatti di St.Louis, ieri è stata anche la giornata delle dichiarazioni delle parti in causa.

L’agente Wilson che non si era visto da agosto è stato intervistato per la Abc da George Stephanopolous al quale ha ribadito di avere la «coscienza a posto» per aver «fatto bene il mio lavoro» ed aver agito secondo il regolamento. Dagli atti del grand jury resi noti dopo il verdetto risulta che Wilson, alto 1 metro e 96 abbia dichiarato di essersi sentito come un bimbo dell’asilo rispetto al ragazzo di qualche centimetro più alto di lui. «Mi sembrava Hulk Hogan», ha dichiarato il poliziotto che ha sostenuto di aver temuto per la propria vita quando il ragazzo, già più volte ferito si è voltato verso di lui «con l’aspetto indemoniato». Gli stereotipi del demone nero snocciolati da Wilson non hanno che esacerbato il dolore dei genitori che in un’intervista alla Nbc a loro volta hanno segnalato che le dichiarazioni sono palesemente implausibili, ricordando che Micahel si trovava a dieci metri di distanza dal suo carnefice e segnalando una amara verità: «Quale ragazzo nero disarmato avrebbe caricato un poliziotto con una pistola in mano?».

In tutto questo rimane non pervenuto il presidente Obama che dopo il verdetto si era detto solidale con le forze dell’ordine ed aveva invitato «alla calma», mentre il riquadro accanto mostrava i primi scontri, e che ieri da Chicago ha aggiunto un laconico «il presidente intende lavorare con voi». Il suo ruolo in tutta la faccenda è più o meno universalmente deplorato nella comunità afroamericana che spera in azioni più concrete da parte di Eric Holder, l’attorney general che in passato si è speso contro l’implicito pregiudizio razziale dell’apparato di giustizia.

Se seguirà l’esempio di altri casi simili, come quello di Rodney King che portò alle rivolte di Los Angeles, il dipartimento di giustizia potrebbe intentare un processo federale contro Wilson per «violazione dei diritti civili» di Michael Brown. Il capo di imputazione è però assai più problematico perché occorrerebbe dimostrare un palese «intento discriminatorio» da parte del poliziotto. Più probabile sarebbe una causa civile da parte della famiglia contro il dipartimento di polizia per risarcimento. Al di la degli strascichi giudiziari, ciò che chiedono i manifestanti che continuano a protestare in tutti gli Stati Uniti sono riforme politiche. Un mutamento culturale cominciare a spazzare via, una volta per tutte, la cultura razzista della polizia.