È stato detto che questa campagna elettorale sarebbe stata una occasione per approfondire i 10 punti proposti da Tsipras e provare a scrivere assieme un vero programma dell’Altra Europa.

Uno dei temi caldi è indubbiamente l’euro. In un incontro a Venezia, Riccardo Petrella ha affermato: «Non confondiamo lo strumento (la moneta unica) con la causa del fallimento delle politiche di convergenza, integrazione, armonizzazione delle regioni europee». Giusto, è tutto il sistema monetario, finanziario economico e sociale così fortemente dominato dal liberismo che va posto sotto accusa. Sono le leggi bancarie del ’93 e ’94, l’indipendenza delle Banche centrali e della stessa Bce (1997), la liberalizzazione dei mercati senza clausole sociali e ambientali (Maastricht, 1997), assieme alla introduzione forzata dell’euro (2000), che vanno rovesciate.

Chi se la prende solo con l’euro opera una semplificazione di facile effetto senza però necessariamente impegnarsi nella lotta contro i poteri economico-finanziari che sovrastano e guidano le nostre esistenze. Vero anche che è difficile immaginare qualsiasi forma di economia, anche la più equa e solidale, senza disporre di strumenti monetari che servano come mezzo di pagamento, misura e riserva di valore. La questione centrale però è che la moneta ha sempre avuto anche un forte significato simbolico: indica una sovranità sulla regolazione dei rapporti sociali di produzione e di consumo.

L’euro oggi (più ancora del dollaro) è creato, messo in circolazione, prezzato non da autorità pubbliche (più o meno democratiche) ma da istituti privati: le banche. Solo così la massa finanziaria è potuta crescere 8-10 volte la ricchezza materiale mondiale. Esiste una “banca totale”, un sistema interconnesso degli istituti finanziari che non risponde ad alcuna autorità pubblica statale o sovranazionale, tantomeno all’Europa. Peggio, nella misura in cui i bilanci pubblici sono costretti a ricorrere al debito (questa la cifra raggiunta a febbraio dal debito pubblico in Italia: 2.107.157.000.000: provate a leggerla!), tanto più gli stati saranno soggiogati dai diktat delle banche. Prendersela con l’euro, quindi, in quanto nome di un sistema che va scalzato, a me non pare così sbagliato.

Certo, la demolizione dell’euro va accompagnata con una proposta organica di nuovo ordine monetario che fornisca una via di uscita al dilemma avvilente tra tenere l’euro perché senza sarebbe peggio o uscire dall’euro per evitare guai peggiori.

Due giovani economisti, Palma e Iodice che scrivono su Left, propongono di prendere per intero l’idea di Keynes (anche nelle parti che furono bocciate dagli Usa a Bretton Woods nel 1944): istituire una “moneta comune” virtuale con cambi fissi del tipo “euro-bancor” da utilizzare come unità di conto per gli scambi internazionali, tornare a monete mesoregionali (non necessariamente nazionali) consentendo una maggiore adesione allo stato reale delle diverse aree economiche. Infine, come aggiunge Tonino Perna, introdurre migliaia di monete complementari locali parallele senza interessi basate sul tempo di lavoro effettivamente prestato per regolare gli scambi di beni e servizi prodotti e utilizzati a “chilometro zero”. Penso al Brixton Pound nel cuore nero di Londra, al Tem in Grecia, al nostro Sardex e alle innumerevoli esperienze di conquista della “sovranità monetaria” da parte di comunità locali nel mondo. Solo così si riuscirebbe davvero a de-finanziarizzare l’economia, a smarcare parti importanti delle attività economiche essenziali dal sistema globalizzato delle grandi imprese e a porre le condizioni per liberare i bilanci pubblici dalla tagliola delle rendite.