I lavoratori schiavi nei campi, gli imprenditori piegati dalla crisi: con gli agrumi che restano sugli alberi, senza venire più raccolti perché al produttore arrivano in tasca cifre ridicole. La Piana di Gioia Tauro, dal punto di vista agricolo (che poi, visto che il porto non decolla mai, è praticamente l’unico business del posto), secondo la sindaca di Rosarno, Elisabetta Tripodi, sarebbe già tecnicamente «morta». Ma i sindacati non ci stanno, e per questo hanno organizzato proprio a Rosarno, a cinque anni dalla rivolta degli immigrati, una tavola rotonda con le imprese e il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina: perché questo territorio non si può né si deve arrendere.

Bisogna partire innanzitutto dalla qualità, non solo delle produzioni, ma anche del lavoro: lo chiede la segretaria della Flai Cgil Stefania Crogi. Perché la battaglia ha già pagato: nel 2011 è arrivata la legge sul caporalato, che ha permesso di arrestare 350 caporali e ha avviato decine di processi, dove il sindacato ha potuto costituirsi come parte civile. Ma non basta: «Adesso – spiega Crogi – bisogna costruire delle tutele per i lavoratori che denunciano, e il reato penale va esteso dai caporali alle imprese che li utilizzano».

Ma qualche risultato è arrivato anche con l’attuale governo, che ha già varato un decreto qualche mese fa, «Campo libero», recependo le istanze delle parti sociali. E proprio in queste settimane si stanno discutendo al Senato importanti emendamenti che completerebbero la riforma: parlano di collocamento trasparente, incentivi dati solo alle imprese che rispettano le leggi e i diritti dei lavoratori, e di trasporti convenzionati con il pubblico per svuotare il caporalato alla radice. «Facciamo uno sforzo per concludere il percorso con l’apporto di tutti», chiede al ministro Martina Stefano Mantegazza, segretario generale della Uila Uil.

Le imprese – rappresentate da Coldiretti e Confagricoltura – hanno un punto di vista diverso, ma tentano il dialogo. Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, porta l’appello degli agricoltori, che lamentano il crollo dei prezzi: «Siamo arrivati al punto che un chilo di arance viene pagato al produttore solo sette centesimi, e se pensate che in una bottiglia di aranciata che troviamo al supermercato a 1,30 euro ci sono solo 3 centesimi di frutta, vi rendete conto della nostra crisi». Moncalvo critica anche la Coca Cola, che recentemente ha mollato i produttori locali per rivolgersi a mercati più competitivi: «Chiediamo che le multinazionali si siedano a un tavolo, tanto più oggi, che il tema del cibo è il cuore dell’Expo».

Polemico con le imprese l’intervento di Yvan Sagnet, che negli anni passati ha animato una delle più importanti rivolte contro lo sfruttamento nei campi, a Nardò – con tanti caporali finiti sotto processo – e oggi fa sindacato con la Flai Cgil: «D’accordo – dice rivolto a Coldiretti e Confagricoltura – voi criticate le multinazionali. Ma perché non cacciate dalle vostre associazioni gli agricoltori che usano il lavoro nero e schiavizzano gli immigrati, così come Confindustria fa con le aziende corrotte o colluse con la mafia?».

Il ministro Martina chiude idealmente il dibattito, spiegando che la richiesta di dialogo è accolta: «Però facciamo tutti degli sforzi. Noi completeremo la riforma di “Campo libero”, discutendo con le parti sociali, e convocheremo Coca Cola e le altre multinazionali. Ma le imprese, soprattutto le piccole, devono aggregarsi, in Calabria così come già avviene in Trentino. E dobbiamo creare un marchio di qualità certificato, dei prodotti e del lavoro: in modo che poi possa essere riconosciuto dalla grande distribuzione e dai consumatori».