Una commedia dell’assurdo. Il titolo Mps perde il 40% in una settimana, dimezza il capitale (da 7,5 miliardi e poco meno di 4 miliardi), e deve trovare nei prossimi mesi 2,1 miliardi per adempiere alla richiesta di ricapitalizzazione fatta dalla Bce dopo gli stress test bancari europei. Ma solo ora le istituzioni toscane e senesi, con Enrico Rossi e il sindaco Valentini, chiedono l’entrata dello Stato nel Monte dei Paschi per salvare l’autonomia della banca, ricordando i 250 miliardi di aiuti pubblici decisi all’epoca dalla Germania per il proprio sistema bancario, e i 60 miliardi della Francia.

Al tempo stesso però Rossi e Valentini continuano a difendere i vertici di Rocca Salimbeni, nonostante il fallimento della strategia “mercatista” di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola. Dietro la quale, visto che Profumo ha già fatto intendere che ormai l’indipendenza del Monte va messa in archivio, si nascondeva per i (troppo pochi) critici la definitiva disintegrazione del più antico istituto di credito del mondo. Colpevole sopratutto di essere pubblico, e patrimonio di un’intera città, ancor più che per la sua azzardatissima gestione. Tesa a farla diventare a qualsiasi costo – i 9 miliardi cash per Antonveneta pagati a fine 2007 – e nonostante le prime avvisaglie della crisi finanziaria semiglobale, la terza banca italiana.

I colpevoli ufficiali, va da sé, sono alla gogna. Nell’unico processo non trasferito a Milano e rimasto a Siena, quello per l’affaire Alexandria, ieri il tribunale ha inflitto tre anni e mezzo di reclusione all’ex presidente Giuseppe Mussari, al suo vecchio braccio destro Antonio Vigni e all’ex responsabile finanza Gianluca Baldassarri. Condannati in primo grado per aver ostacolato le funzioni delle autorità di vigilanza – Bankitalia e Consob – nascondendo in teoria nella cassaforte di Vigni il mandate agreement con la banca d’affari Nomura, per la ristrutturazione del fallimentare derivato Alexandria. Un accordo concepito per mettere una toppa ad un bilancio che sarebbe stato già in rosso nel 2009. Ma che sarebbe diventato, complice la tempesta (artificiale) degli spread, l’ennesima fonte di perdite per centinaia di milioni.

I difensori degli imputati, da Franco Coppi a Tullio Padovani e Filippo Dinacci, hanno fatto notare che il mandate agreement era conosciuto, almeno ai piani alti della banca, e che gli ispettori di Bankitalia avrebbero potuto scoprirlo per tempo. Ma Bankitalia, guidata all’epoca da Mario Draghi, ha sempre smentito di sapere cosa stava accadendo a Rocca Salimbeni. Dove, peraltro, la stella di Mussari brillava. A tal punto che l’avvocato-banchiere veniva riconfermato nel 2010 alla guida dell’Abi. Dopo essere stato eletto nel 2007, e aver ricevuto il titolo di “banchiere italiano dell’anno” proprio per l’acquisto di Antonveneta.

Ora, a buoi scappati dalla stalla, Rossi chiede a Matteo Renzi di dilazionare il pagamento dell’ultima tranche di Monti Bond (750 milioni), “entrando temporaneamente nel capitale”, per aiutare il Monte a recuperare i 2 miliardi chiesti dalla Bce senza essere mangiato a pezzi e bocconi. Magari vendendo a prezzo di saldo proprio Antonveneta. Dal canto loro tutti i sindacati Mps, visto quello che va dicendo Profumo, chiedono un incontro urgente con il capo. Intanto a Rossi risponde secco Graziano Delrio: “Il dossier è sul tavolo del ministro Padoan”. Mentre Ignazio Visco assicura che Bankitalia “seguirà da vicino l’attuazione del piano di rafforzamento”. Che resta nelle mani di Profumo.