Una poesia del catalano Joan Maragall avvertiva: chi giunge qui «si perde. Si dimentica di tutto il resto». Nell’opera descriveva la sua esperienza mistica nel faggeto di Olot, provincia di Girona, a meno di 45 minuti d’auto dal confine francese. La sensazione qui è rimasta più o meno questa fino al precipitare degli eventi.

I 30mila abitanti che animano questo centro nella zona vulcanica della Garrotxa non davano l’idea di abitare una delle città più importanti della provincia di Girona, storicamente in prima linea nella lotta per l’indipendenza. E invece dal 30 settembre la «bella addormentata» Olot ha ripreso in mano bandiere e megafoni ed è tornata in strada: prima per organizzare il referendum, occupare i collegi elettorali nella notte,quindi votare e infine ribellarsi alla violenta reazione di Madrid, con lo sciopero generale di ieri.

«Non ho mai visto una partecipazione del genere in questa città, men che meno uno sciopero così» racconta emozionato Xavier, 58 anni, affiliato al sindacato Cnt, tra gli organizzatori delle manifestazioni, «Questa è una lotta secolare e complicata. Ma ne sono convinto: questa volta non si torna più indietro».

Xavier è seduto sopra uno dei tre blocchi stradali improvvisati intorno a Olot. Decine di camion provenienti da Barcellona sostano davanti a un muro di pneumatici, rinforzati da alcune pietre nel mezzo della carreggiata. Da qui partono alcune staffette per «picchettare» le aziende di Olot dove si sta lavorando.

 

olot

Kevin, insegnante di break dance di 25 anni, racconta che non si è mai interessato alla politica ma che «questa cosa dell’indipendenza e la conseguente violenza della polizia spagnola mi hanno convinto a scendere in strada e fare quel che si può». Anche lui sembra non approvare la forte pressione che i partecipanti del picchetto esercitano su quei lavoratori che non hanno preso parte allo sciopero generale. Sono pochi, ma rappresentano forse quella silenziosa maggioranza di catalani che si oppongono al progetto di una repubblica indipendente. Anche la sorella di Kevin, Judith, ha in mente di timbrare il cartellino questa sera, ma per un altro motivo: «Non posso permettermi di perdere i 70 euro della giornata al macello» risponde al fratello scandalizzato.

Olot è famosa per il suo faggeto – per visitarlo accorrono da tutta la Catalogna – e per la lavorazione della carne di maiale. A casa di Kevin mi offrono una butifarra, una salsiccia di colore scuro tipica della zona. Serve in tavola sua zia Isabel, che riguardando le immagini delle violenze del primo di ottobre – che secondo la Generalitat a Girona hanno provocato circa 180 feriti – non può esimersi dal commentare: «Non ci hanno trattato bene (gli spagnoli, ndr), ormai è troppo tardi per ricucire».

A Isabel sono servite le immagini della televisione catalana per chiarirsi le idee. Jordi invece, «uno dei più forti corridori della Garrotxa» come lo presentano gli amici, aveva già un’opinione da quando era adolescente.

Ora ha 31 anni, lo scorso 30 settembre ha occupato il palazzetto dello sport. La struttura comprende una decina di campi da gioco, alcuni nuovi di zecca. «Prendilo come un simbolo del paese che saremo» dice orgoglioso.

C’è anche lui nella piazza centrale a chiudere una giornata di manifestazioni pacifiche per le strade di Olot. Migliaia di persone si ritrovano sotto l’estelada che sventola dal balcone del Municipio per chiedere l’immediato ritiro delle «forze d’occupazione» e cantare insieme L’Estaca di Lluis Lach, una sorta di inno per gli indipendentisti. Che suona come un’ultima, grave minaccia allo Stato spagnolo: «Se tiriamo forte/ la faremo cadere./Non le resta molto tempo».