La morte di Andrea Soldi a Torino durante l’esecuzione di un Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) è inaccettabile, al di là di eventuali responsabilità penali che spetta alla magistratura accertare.

Una misura sanitaria voluta a garanzia del malato non può trasformarsi in un atto che conduce alla morte. La qualità del Tso – cioè proprio il modo in cui viene eseguito il provvedimento – riguarda il rispetto dei diritti e della dignità della persona malata. Non può svolgersi come se fosse l’arresto di un criminale (che, peraltro, deve avvenire sempre nel rispetto dei diritti dell’imputato).

Il Trattamento sanitario obbligatorio non è ammesso, salvo i casi disciplinati dalla legge: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

Da questo imperativo della nostra Costituzione (articolo 32) nasce il Tso psichiatrico. Fu la riforma Basaglia con la legge 180 del 1978, quando si decretò la fine dei manicomi, che regolò le modalità di esecuzione di questa extrema ratio a tutela del malato.

Fu pensato come misura limitata nel tempo e da eseguirsi con modalità ben precise a garanzia della libertà e dei diritti della persona, proprio per evitare gli abusi del ricovero coatto in manicomio. Questa norma di civiltà e progresso oggi è rispettata? La tragica vicenda di Torino – che non è isolata – impone un’approfondita ed urgente verifica.

Per questo il ministro Lorenzin non può accontentarsi di inviare gli ispettori a Torino.

Bisogna aprire subito un confronto sullo stato e sulla qualità dei servizi di salute mentale nel nostro paese. E sulle condizioni difficili in cui sono costretti a lavorare gli operatori spesso in conseguenze dei tagli alla sanità. Insomma, sulle buone e sulle cattive pratiche. Una situazione ben illustrata nella relazione conclusiva dell’ultima inchiesta parlamentare sulla salute mentale presentata al Senato dalla Commissione sanità nel 2013. Bisogna parlare delle porte chiuse in troppo reparti psichiatrici (e in troppe strutture residenziali), della contenzione, fenomeno diffusissimo come segnala il recente documento del Comitato nazionale di bioetica.

Per questo non bastano gli ispettori del ministero: bisogna reagire contro tutto ciò che può far arretrare ai tempi e alle pratiche del manicomio. La stessa chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) segnala un pericolo, per i ritardi con cui sta avvenendo (urge il commissariamento per le regioni inadempienti) e per l’idea di sostituire i vecchi Opg con i nuovi manicomi regionali, le Rems.

Bisogna invece far emergere, valorizzare e diffondere le tante esperienze in cui la salute mentale si tutela con servizi aperti e accoglienti nel territorio, favorendo l’inclusione sociale e la vita nella comunità e non il ricovero in luoghi separati, sostenendo le famiglie dei malati troppo spesso lasciate da sole.

Insomma non c’è tempo da perdere, per evitare che altri possano morire di Tso, per garantire ad ogni cittadino che il trattamento sanitario, anche quando obbligatorio, è sempre davvero una misura a tutela della salute e mai può «violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».