La questione la possiamo prendere di dritto e rovescio, ma nel paese la politica (categorie, partiti, associazioni, ecc.) è interamente piegata sulle tasse, sull’eccessiva pressione fiscale per chi le paga, a cui fa da contro altare la necessità di aumentare le spese.

Il mainstream di sinistra rivendica meno tasse e più investimenti in deficit; il mainstream di destra si ferma alla riduzione delle imposte per rilanciare i consumi. Su quest’ultimo punto destra e sinistra registrano (purtroppo) una inedita convergenza.

Sebbene ridurre le tasse al mondo del lavoro sia significativamente diverso che ridurre le tasse alle imprese, si converrà che il segno non cambia di molto. Di riduzione in riduzione delle tasse avremo solo lo stato minimo, con i così detti servizi sociali (scuola, sanità, previdenza) comprati sul mercato. Dovremo pur ri-proporre all’attenzione pubblica che la riduzione delle tasse sono il viatico perfetto per svuotale il governo pubblico dai suoi presupposti.

Ovviamente la lotta all’evasione è presa veramente sul serio: tutti, ma proprio tutti, affermano che è finita la pacchia con l’uso delle carte di credito e dei bancomat, unitamente alla contrazione dell’uso del contante. Vero? Nessuno si è preso la briga di studiare il dare e l’avere della proposta di bilancio del governo sulla materia; entrate aggiuntive dall’uso di bancomat zero (avete letto bene), mentre le uscite per premiare chi usa le carte di credito certificano una maggiore spesa per 2,8 mld nel 2021. Avevamo bisogno di questa misura? Capisco la retorica, ma non era il caso di impegnarsi seriamente nella lotta all’evasione rimuovendo il vincolo dell’authority sulla privacy nei confronti dell’Agenzia delle entrate per trattare proprio i dati raccolti sul dare e l’avere dei cittadini? Si fanno tante chiacchiere sulla società dell’informazione, ma poi non la vogliamo utilizzare per tracciare gli evasori. Ma che mondo vogliamo?

Ricordo, a chi non fosse chiaro, che il reddito è dato dai consumi, dagli investimenti e dalla spesa pubblica. La sinistra “moderna” non impara mai dalla Storia e, infatti, ogni volta che le forze politiche del centro sinistra si riaffacciano al governo del paese, riemerge il mantra della riduzione del cuneo fiscale (Fabrizio Patriarca, Menabò): con il governo Prodi furono spesi 7 mld per ridurre il cuneo, con effetti economici trascurabili; il governo Renzi ipotizzava un alleggerimento di 50 euro al mese, ma ripiegò sulla decontribuzione per i nuovi assunti con dei risultati paradossali ed evidenti vantaggi per le sole imprese.

Quando non si hanno progetti, in altri termini, rimangono le tasse e queste interessano sempre tutti. C’è poi la “sinistra” che reclama maggiori investimenti in deficit, ma rimane una rivendicazione meccanica e non di sostanza. Troppe persone hanno salutato con favore le “fresche” risorse per Industria 4.0 presenti nel bilancio del governo per il 2020, tra l’altro ben poca cosa (128 mln nel 2020, 912 mln nel 2021 e 748 mln nel 2022), ma in pochi hanno indagato e studiato come Industria 4.0 di Calenda abbia impoverito il Paese: almeno ¾ delle risorse finanziarie delle imprese nazionali per comprare i nuovi beni strumentali sono, in realtà, andate verso la Germania via importazioni. Alla faccia delle innovative politiche industriali.

Qualcuno potrebbe anche “illuminarci” sull’impegno del governo nazionale ed europeo legato alla green economy, ma le policy sono relative ai buoni comportamenti e, guarda un po’, sostenuti da maggiori o minori tasse. Sempre le tasse a fare la politica industriale. Ho avuto la fortuna di guidare 4 gruppi di lavoro sulla green economy, sostenuti dalle istituzioni pubbliche, in cui emerge con prepotenza che la si fa alla sola condizione di sostenere la ricerca e sviluppo e, non troppo paradossalmente, cambiare il motore dell’industria metalmeccanica.

Qualcuno si ricorda la metafora di Riccardo Lombardi relativa alla necessità di cambiare il motore della macchina senza fermarla? Ma la new generation di queste cose non vuole sentir parlare. Speravo in altri soggetti, ma il mantra delle tasse impedisce di immaginare qualsiasi politica industriale legata proprio alla green economy. Per inciso, la CO2 è il risultato del 10-15% dei consumi e dell’85% dell’attività economica. Dobbiamo cambiare stile di vita? Forse è meglio cambiare il modello di produzione se vogliamo salvare il mondo e “guadagnare” nuovo lavoro.

Una nota a margine. Ho avuto la fortuna di dialogare recentemente con Steven Fazzari (alunno di Minsky) dell’Università in St.Louis circa la percezione Us dell’Europa. Che imbarazzo: l’Europa è vuota secondo loro e non la vedono.
Servirebbero delle grandi idee e persone per migliorare il mondo, ma abbiamo solo dei grandi narratori.