Una «terza via» tra lo scioglimento e la conferma dell’amministrazione comunale che si scopre infiltrata dalla mafia. L’ha proposta ieri sera in commissione antimafia la presidente Rosy Bindi. In quello che potrebbe apparire un suggerimento al ministro Alfano, che in queste ore ha il problema di decidere su Roma: il quadro di «Mafia Capitale» suggerirebbe lo scioglimento, la ragione politica e il Giubileo alle porte lo sconsigliano. Ma l’azione di Bindi non è sincronizzata con i tempi del Viminale; la sua relazione – che il Pd, sopravvalutandola, ha cercato fino all’ultimo di impedire – troverà un seguito in commissione solo quando il Viminale avrà già deciso su Roma. Tra andare contro il governo, come aveva fatto pubblicando l’elenco degli impresentabili al vigilia del voto regionale, e ascoltare invece il richiamo all’ordine, anche Rosy Bindi ha scelto ieri sera una terza via e si è limitata a «fornire qualche coordinata di mentodo» sull’incandescente caso della Capitale.

Una lunghissima riunione dell’ufficio di presidenza dell’antimafia, allargata ai rappresentanti dei gruppi, era servita nel pomeriggio al Pd per esercitare i suoi tentativi di frenata. Il capogruppo renziano Franco Mirabelli ha chiesto di sconvocare la seduta serale, sostenendo che «la commissione non deve diventare l’arena di una politica politicante, non spetta all’antimafia né alla sua presidente dire al governo cosa deve fare». Bindi ha risposto con il regolamento: per sconvocare servirebbe l’assenso dei due terzi dell’ufficio di presidenza, ma mancava proprio l’alfaniano. E così qualche minuto dopo le venti la presidente ha letto la sua relazione, subito dopo aver precisato che «abbiamo condotto un’ampia istruttoria ascoltando tra gli altri il procuratore Prestipino, l’aggiunto Pignatone, l’ex sindaco Alemanno, il sindaco Marino e l’ex prefetto Pecoraro» e che «la legge istitutiva ci affida il compito di svolgere un continuo monitoraggio sui tentativi di infiltrazioni negli enti locali». Nessun rischio di interferenza con il lavoro del governo, ha assicurato Bindi. «Si tratta di fare considerazioni generali sullo strumento dello scioglimento». Molto è cambiato dai primi anni Novanta quando l’istituto serviva a punire piccoli comuni del sud, Roma non è certo Casandrino né Taurianova e la possibilità che la capitale della nazione possa essere colpita dalla sanzione (dopo che nel 2012 Reggio Calabria era stata il primo capoluogo) suggerisce alla presidente la necessità di una modifica legislativa. «Il caso è eccezionale e servono rimedi eccezionali che il governo potrebbe adottare per decreto». La «terza via» di Bindi potrebbe essere «una forma di tutoraggio e di assistenza dello stato, un accompagnamento temporaneo verso il ripristino della legalità che non privi il comune della sua guida politica».

Se ne riparlerà, ma dopo che il governo avrà deciso su Roma. Nel frattempo sono state diffuse le motivazioni con le quali il tribunale del riesame ha confermato quasi tutte le misure cautelari per gli indagati di Mafia Capitale. Le condotte illecite, scrivono i giudici romani, «si sono protratte sino in epoca prossima all’ordinanza del gip con una condotta che dimostra un’abitualità e una consuetudine sconcertante, indice di un malcostume generalizzato che inquina tuta l’attività pubblica». E quanto a uno dei principali protagonisti, Emanuele Buzzi, secondo i giudici deve restare detenuto in carcere perché «si dedica al crimine in maniera davvero infaticabile e deve essere posto in condizione di non nuocere alla collettività».