Luigi Lagomarsino professore associato di Urbanistica alla Scuola Politecnica dell’Università di Genova e presidente della Fondazione Mario e Giorgio Labò, si è sempre dedicato ai problemi urbani della città: dai quartieri alle infrastrutture. Lo abbiamo incontrato per discutere sul crollo del viadotto Morandi e i problemi delle infrastrutture a Genova.

Il crollo del Viadotto sul Polcevera ha evidenziato la fragilità di Genova nel suo rapporto con le infrastrutture…

Genova ha questa caratteristica: è un territorio separato per valli che incidono verso il mare e quindi le infrastrutture sono difficili. E affidarsi a una sola infrastruttura, come l’autostrada A10, crea una situazione di vincolo e debolezza ogni volta che c’è una fragilità. La A10 è un tracciato di scarsa qualità autostradale, senza corsia di emergenza, con caselli molto complicati e pericolosi. A fronte di questa situazione è stata fatta la strada a mare (che dall’area portuale attraversa l’ex area Ilva e conduce verso ponente), un lavoro di grande importanza che forse consentirà di sopportare il flusso veicolare post crollo. È necessario avere una alternativa autostradale che metta in sicurezza la città? A questo è stato risposto con il progetto della Gronda.

Infatti, da un ventennio assistiamo a una serie di idee per risolvere i problemi infrastrutturali, dal tunnel sottomarino in sostituzione della Sopraelevata fino alla sostituzione del ponte Morandi con uno analogo progettato da Santiago Calatrava e infine la Gronda.

La Gronda ha suscitato molto dibattito pubblico che ha portato a una conclusione. Quando si finisce l’iter amministrativo si deve arrivare alla sua realizzazione, altrimenti si ritorna indietro. Il problema principale riguarda il tratto autostradale attuale che è insoddisfacente e va sostituito.

Ci siamo ritrovati con una regione divisa in due senza alternative al ponte, una città separata come lo era prima della Grande Genova unificata dal fascismo nel 1926…

Dovremmo essere dotati di una infrastruttura in grado di reggere i livelli di traffico che aumentano. È evidente che in presenza di traffico forte, determinato dalla posizione del porto, bisogna avere delle soluzioni. Il Terzo Valico (che dovrebbe collegare merci e persone con Piemonte e Lombardia) è una delle possibili soluzioni, anche se possiamo discutere sul suo tracciato, rimane alternativo alle linee esistenti le cui pendenze non consentono una fluidità dei percorsi.

In questa situazione come possono aiutarci i Piani e la legislazione urbanistica?

Il consolidamento della pratica urbanistica e dei Puc hanno avuto una scarsa capacità di leggere il territorio. L’urbanistica si è piegata al massimo rispetto dei vincoli naturalistici e della sostenibilità. Ma riscontriamo che lo sviluppo edilizio non è stato contenuto, e che non c’è stata la capacità di agire con efficacia, in un territorio avaro di spazi, con il sistema della viabilità e delle infrastrutture. Non avere una prospettiva lunga credo sia una sconfitta dell’urbanistica.

La politica attuale, anche per la scomparsa di figure di riferimento come gli urbanisti, non ha una visione della città a medio e lungo termine e non ha saputo governare il territorio.

Negli anni si è persa la vocazione di Genova a immaginare il suo futuro. Sono stato chiamato dalla giunta Doria per le contro osservazioni al Puc e una delle cose di cui mi sono occupato era il rapporto tra città e porto. Trovo inammissibile che due entità confinanti, di cui una necessariamente è indotta ad attraversare l’altra, sviluppino piani regolatori indipendenti senza una visione unitaria, come è possibile?
C’è un caso a cui ho lavorato che riguarda il rapporto tra autostrada e città sulla complanare Pra-Voltri, in un progetto di connessione tra il quartiere di edilizia pubblica ex 167 e il ponte urbano a valle dell’autostrada. Dopo un lavoro intenso la precedente giunta Doria ha accettato la proposta della società Autostrade di realizzare una sorta di sarcofago che mantenesse la situazione attuale e dal punto di vista urbanistico impedire il ricongiungimento della parte a mare con quella a monte.

Il crollo fornisce una occasione di ripensare il rapporto tra città e territorio. Come sarà l’assetto urbanistico di Genova nel prossimo decennio?

Una maggiore determinazione nello sviluppo della strada a mare per connettersi con il casello autostradale di Ge-Aeroporto e un suo ulteriore proseguimento verso ponente. Comunque sia un obbiettivo è sviluppare questa viabilità che avrebbe un senso rispetto alla lunghezza della città distesa per venti chilometri. La soluzione Gronda, anche se non sono innamorato delle scelte fatte, credo debba essere posta in atto se si vuole avere un’alleggerimento dei transiti veicolari sul futuro Morandi. La città può essere riconsiderata e quel tratto autostradale convertirlo in strada veloce. Non possiamo aspettare 5-6 anni per avere la Gronda.

Quali alternative ci sono?

Una sostituzione del ponte Morandi nella posizione attuale deve essere affrontata, sapendo però che quel tracciato autostradale va bene per le macchine e non per i mezzi pesanti.