Quanta invidia suscita questo nostro corpo che nasce con una vagina, una clitoride, un utero, le ovaie e poi si dota di tette strada facendo. Quanto fastidio smuovono questi nostri potentati. Nella guerra dichiarata ai corpi femminili da chi vorrebbe cancellare i loro attributi anche dal dizionario (perché i cambiamenti e il lavaggio del cervello cominciano spesso con il linguaggio) l’ultimo attacco, subdolo, è arrivato da «The Lancet».

Il primo settembre scorso la rivista scientifica pubblica un articolo intitolato Periods on display (Cicli in mostra, dove per cicli si intendono quelli mestruali). L’analisi prende spunto da una mostra (Periods: A Brief History) al Vagina Museum di Londra dove si esplora la storia e i conseguenti tabù che in tutto il mondo hanno circondato le mestruazioni. Fin qui tutto bene, ma a un certo punto l’articolista Sophia Davis scrive: «Storicamente, l’anatomia e la fisiologia dei corpi con vagine sono state trascurate». Non contenta, la rivista rilancia in copertina l’articolo scegliendo proprio quella frase «Bodies with vagina», benché nel resto dell’articolo sia usata anche la parola donne. Si è scatenato un putiferio.

Sempre in Gran Bretagna, nei mesi scorsi il Brighton and Sussex University Hospitals NHS Trust aveva invitato il personale a usare i termini «genitori che partoriscono» e «latte umano» al posto di «madri» e «latte materno». Lo scopo era eliminare la transfobia tradizionale con frasi inclusive di genere.

Ma perché, per rispettare i desideri e le scelte di chi non si riconosce in un dato biologico, in un corpo o in un sesso, si pretende di cancellare e di non più nominare la donna riducendola a una portatrice di organi? Danno così fastidio le donne? È così brutto dire «donna»? Siamo di fronte a una decostruzione del linguaggio non innocente. Con la scusa del politicamente corretto, pezzo dopo pezzo, frase dopo frase, avanza inesorabile l’attacco al corpo delle donne e al simbolico che quel corpo rappresenta. Dire «Corpo con vagina» anziché donna significa ridurci a pezzi di carne con una funzione fisiologica. È la negazione di una peculiarità, di una differenza, di un mondo.

In quanto portatrice di vagina, appena ho letto quell’espressione mi è venuto da ridere prima ancora che piangere. Mi sono figurata un mondo in cui nei romanzi, negli articoli, nei film, nei dialoghi, nelle conversazioni, per non dire donna (sennò qualcuno si offende), si useranno perifrasi come Corpi con vagina, con clitoride, con utero, con ovaie.

Per par condicio, poi, non si dovrà più parlare di uomini ma di Corpi con pene, con testicoli, con prostata. Siccome le perifrasi sono scomode, bisognerà ricorrere agli acronimi e quindi sarà tutto un fiorire di CCV, CCU, CCO, CCC, CCT, CCP.

E se si hanno le mestruazioni diremo CCM, sempre ammesso che potremo continuare a declinare parole, verbi e aggettivi al maschile o al femminile. Qualcuno ha contato i segni usati per evitare di essere discrimanti e pare che, fra asterischi e schwa, negli Usa si sia ormai arrivati a 28.

L’italiano non esisterà più perché a forza di togliere vocali a fine frase parleremo tronco tipo andat, aggressiv, parlat, consumat. E poi una mattina ci alzeremo scoprendo di essere libere dalla schiavitù della gravidanza perché tanto ci pensa l’utero artificiale a far crescere l’embrione che nel frattempo non si formerà più fornicando, ma con tante belle inseminazioni artificiali dopo previa selezione di donator di sperma e di ovuli.

A quel punto non ci servirà nemmeno più la vagina, se non per fare pipì. Ah, come saremo liber e felic.