Un tempo si parlava dei talent scout come semidei che individuavano personaggi di talento per promuoverli nell’ambito dello spettacolo o dello sport, ora molti di loro vivono all’ombra di uno step (o per usare un sostantivo caro alla politica, di un predellino) per arrivare al provino delle competizioni fratricide dei talent show. Amici, X Factor, The Voice of Italy, sono solo alcuni dei tanti format che, dal ballo alla cucina, alimentano il tritacarne per un pubblico affamato di verdetti.

Un fenomeno che ha approfittato della crisi dell’industria musicale rilanciando le speranze di centinaia di ragazzi sul successo immediato e, ovviamente, contribuendo al dilagante degrado culturale. Tecnicamente sono giovani preparati ma mancano di spalle larghe: la creatività e l’approccio non possono essere frutto solamente di studio o degli arrangiamenti di cover distribuite a tavolino dai produttori. I concorrenti vengono fin da subito indotti ad essere immatricolati, incasellati e facilmente riconoscibili, interpreti di se stessi e di giudici spesso discutibili.

l contatto con il pubblico, la fisionomia stesso dell’artista (suvvia, nei talent si assomigliano un po’ tutti) intagliata dalle epopee nei locali semivuoti, dalle registrazioni amatoriali, dai giorni trascorsi sul furgoncino affittato, sembra roba antiquata, da rocchettari in via d’estinzione.
Alessandra Falconieri, Dorina Leka, Borghi Bros, Denis Mascia sono solo nomi, ma gli unici che si ricordano restano Valerio Scanu, Marco Mengoni, Giusy Ferreri, Alessandra Amoroso, Emma Marrone e Marco Carta. O l’attore Giulio Bufo, pecora nera che si denudò a Italia’s got talent, disse contro lo squallore televisivo che lo sfruttava per audience. Sia come sia, ogni azione, reazione critica o contraddizione di un sistema televisivo totalmente dedito allo share, appare come ingranaggio del meccanismo che, per riprendere l’inossidabile Guy Debord: «È l’unità della miseria che si nasconde sotto le opposizioni spettacolari».

14vis02GALUPTALENT

Ma non tutto è perduto. Qualcuno da quell’esperienza ha cercato di afferrare il meglio – per rimettersi in gioco, come nel caso di Galup, classe ’92, sbarcato col reggae a X Factor 2013, e ritornato nella scena underground. Quest’anno è uscito il suo album d’esordio: Libero (Strongvilla), un album denso di contaminazioni e orientato verso i temi dell’attualità giovanile. Un titolo che rappresenta la voglia di esprimersi di chi, come ci racconta in una chiacchierata, voleva fare un’esperienza e divertirsi: «Volevo solamente portare il reggae in televisione, e questo non era possibile: alla fine sul palco ho improvvisato testi miei su canzoni che in precedenza mi assegnavano. Quando gli chiesi di cantare canzoni che mi rappresentavano, come Il Mondo dei Reggae National Tickets, mi risposero ’che c…o è?’. Questa mancanza di rispetto mi fece riflettere sul fatto che io con quel mondo non avevo nulla a che fare, allora optai per parti di miei pezzi già esistenti, così da far capire alla gente che avevo un percorso artistico fuori da quel programma».

Un aspetto importante è come si riesce a partecipare, già che molti vengono contattati direttamente dalla redazione: «Ho imparato che 60.000 persone vanno a fare le selezioni ma hanno zero possibilità, perché molti ragazzi vengono contattati e invitati a fare i casting, esattamente come me, grazie ai piccoli video su YouTube. Chiariamo: non ti promettono nulla, però si capisce come mai a uno, da un giorno all’altro, viene in mente di tentare». La domanda che in tanti si pongono è come se ne esca, quando non si vince: «Non mi sono mai illuso di diventare una popstar, anzi, ho percepito subito che si trattava di un ambiente arrogante e se quelle manie di superiorità ti contagiano sei fregato per sempre, meglio restare in terra. Il tipo di musica che amo è all’opposto dell’arroganza ma. Cosa volevano da me, Tiziano Ferro?».

Dallo stesso concorso viene anche il rapper Mattia Balardi, in arte Mr. Rain, anche lui contattato dal programma grazie ai video su YouTube. Ad aprile è uscito il suo primo disco: Memories. Di quei giorni ricorda: «Durante i casting c’era davvero molta pressione tra i concorrenti, soprattutto ai boot camp quando dovevamo preparare una canzone in una notte, e all’ultima fase: gli home visit». La musica dovrebbe essere condivisione, non competizione, anche se per la visibilità resta sicuramente un punto di partenza importante… «Infatti ci sembrava un’ottima opportunità di promozione. Siamo usciti all’ultimo casting ma ci hanno ripescati. Per preparare le canzoni della puntata decisiva, io e Osso (musicista con cui Mr Rain aveva suonato delle cover, ndr) abbiamo trascorso una settimana a Milano, ma il giorno prima della puntata ci presentarono un contratto… e ci rifiutammo di entrare nel programma».

Reggae e hip hop sono stili di vita nati dalla strada con un nutrito pubblico di aficionados, il che li rende appetibili ai produttori, intenzionati ad allargare la sfera d’influenza dei talent (ricordiamo il coach Fedez). A inizio anno è uscito Nemici di Piotta – cover e titolo parodia dello show della De Filippi – un artista con un percorso serio alle spalle, che ha rifiutato i talent e che sulla credibilità ha uno dei suoi punti di forza. Cioè buoni segnali di coerenza e umiltà dalla strada, per non entrare o uscire indenni dal giro.