La primavera non attende il termine della quarantena per fare il suo corso e chi possiede un pezzo di terra che coltiva come hobby a orto o a frutteto questo lo sa. Se non si semina in tempo o non si eseguono alcune pratiche colturali si può pregiudicare la stagione. Per chi non ha la fortuna di avere il pezzo di terra dietro casa questa è la sorte a cui va incontro a causa delle limitazioni di spostamento dovute al Covid-19. Lo sa bene anche Piergiorgio Ceccarelli che ha lanciato online la petizione Apriamo gli orti al tempo del coronavirus, raccogliendo quasi 15 mila firme. Ceccarelli chiede al presidente del Consiglio e al Ministro dell’Interno e della Salute che «venga data la possibilità della coltivazione di un orto o frutteto a tutte quelle persone che lo fanno solo per uso hobbistico e non sono dotate di partita iva, che lo hanno magari a poca distanza dalla propria abitazione principale, e che per loro è fonte di auto sostentamento oltre che di benessere psico-fisico. Andare a coltivare un orto in piena campagna evita di sicuro assembramenti di persone, evita code al supermercato nell’acquisto di frutta e verdura dove invece questi assembramenti si verificano, è quindi in perfetta linea con le direttive emanate dal governo…». Un tema caldo che qualche regione ha già fatto proprio. Prima fra tutte la Toscana che con un’ordinanza del 14 aprile ha dato il via libera a chi ha un orto o pratica l’agricoltura a livello amatoriale, ma con alcune cautele: che le uscite avvengano non più di una volta al giorno e che sia effettuato da massimo due componenti per nucleo familiare; che le attività da svolgere siano limitate a quelle necessarie alla tutela delle produzioni vegetali e degli animali allevati. Anche Liguria, Puglia, Lazio e Basilicata, hanno emanato un’analoga ordinanza. Su questo tema vi è da segnalare il forte interessamento di Chiara Gagnarli (M5S) relatrice del decreto Cura Italia in Commissione agricoltura alla Camera dei Deputati che ha fatto inserire nel parere questo chiarimento: «Specificare, all’articolo 105, che l’attività agricola svolta in forma amatoriale, con destinazione dei prodotti agricoli all’autoconsumo familiare, rientri tra le ipotesi di necessità, assoluta urgenza o comprovate esigenze lavorative, che consentano lo spostamento scadenzato nello stesso o in un comune diverso rispetto a quello in cui si trovino il proprietario, conduttore o detentore dei terreni». Missione compiuta. Il governo ha chiarito questa possibilità, per sollecitare le Regioni che ancora non lo hanno fatto.
Ma quanti sono gli agricoltori amatoriali in Italia? In una ricerca realizzata nel 2012 da Nomisma e dalla rivista Vita in Campagna era emerso che le persone che nel tempo libero si dedicavano alla coltivazione di un piccolo pezzo di terra erano più di un milione e per la maggior parte dislocate nel centro-sud Italia, ma con una buona presenza anche nel nord-est. Si tratta in genere di terreni ereditati, ma ci sono anche persone che hanno acquistato terreni in aree svantaggiate per avviare piccole attività, anche come secondo lavoro. I pensionati sono in netta maggioranza, a seguire impiegati, operai, ma anche commercianti, medici e insegnanti. La maggior parte coltiva in modo biologico. E quasi tutto quello che viene prodotto è utilizzato per l’autoconsumo. Gli agricoltori amatoriali svolgono un ruolo importante specie nelle zone di collina e montagna come presidio di zone a rischio di abbandono, ma anche di salvaguardia di vecchie varietà di ortaggi e frutta e razze di animali in pericolo di estinzione perché non più redditizie per l’agricoltura professionale.