L’elevazione a figura «monumentale» avvenuta in Europa non è sempre condivisa in America e a Hollywood, dove Jerry Lewis è stato in parte confinato alla figura di guitto da varietà, quella della origini negli spettacoli con Dean Martin nei night di Las Vegas e Atlantic City. Fra gli addetti ai lavori sopravvive poi la reputazione di una personalità spigolosa, del tutto sprovvista di peli sulla lingua, soprattutto nelle opinioni sulla «sua» industry che spesso riteneva sulla via della perdizione.
Eppure poteva essere affabile, loquace, eloquente sugli argomenti cui teneva – il lavoro sopra tutto. Infaticabile fino alla fine, l’anno scorso era apparso in Max Rose, esordio indie di Daniel Noah in cui interpreta un anziano pianista jazz che scopre una antica infedeltà della moglie dopo la sua morte. Una meditazione lucida sulla vita e sulla morte ed il testamento di un artista al tramonto.
Un progetto nella cui promozione mise l’energia di sempre, compreso l’incontro a Los Angeles con la stampa estera.
«Avere 90 anni non è così semplice. Però è interessante (ride, ndr) molto interessante. Prima di averli riuscivo a camminare, ci vedevo benone, sentivo tutto. Adesso non vedo, non sento e non cammino. Ma sono felice di essere qui e se questo è lo scotto, l’affitto che bisogna pagare, vale la pena.

Cosa ricorda del suo arrivo a Hollywood, cosa la impressionò allora?
Marilyn Monroe nuda. Non le piace questa risposta? D’accordo gliene do un altra: tutto di Hollywood impressiona un giovane performer – tutto. Dai mezzi, il cibo, il lavoro, riposo, sonno, tutto. Sapere di Hollywood e cosa si fa laggiù…e adesso permettono a me di farlo? Beh, non puoi che essere un uomo felice. Ero felice a Hollywood e lo sono ancora.

Ricorda gli esordi nel cinema?
Ho imparato da un regista discreto, Cecil B DeMille, che aveva l’ufficio a tre metri dal mio, alla Paramount. Un giorno mi disse: «Se riesci a fare un film che diverte il pubblico , quello è il successo. Se non fa divertire non lo fare». Gli chiesi se non bisognava farlo prima di capire cosa ne pensasse il pubblico…Il paradosso di questo mestiere.

Esiste un principio guida nei suoi film?
Non voglio dimenticare mai cosa sia essere un bambino. La maggior parte del mio lavoro si basa su quello che farebbe un bambino. E questo significa passare molto tempo ad osservarli, a raccogliere materiale. Il loro divertimento è talmente puro, ci vuole così poco a renderli felici. E possono guidarti al cuore degli adulti: quei bimbi poi crescono e diventano grandi. Se ridevano allora rideranno ancora. Lo so, sembra semplice ma io ci ho fatto una fortuna (ride).

Rivede mai i suoi vecchi film?
Abbastanza spesso, a scopo di educazione: la mia. (ride) Spesso quando lavoro ad una sceneggiatura riguardo un film per vedere cosa ha funzionato e ancora di più quello che non ha funzionato, poi cerco di non ripetere gli stessi errori.

Altri incontri hollywoodiani fondamentali?
Una sera da Chasens, David (Chasen) mi porta al tavolo di Charlie Chaplin e mi presenta. Ricordo che mi tremava la mano ma poi passammo assieme le due migliori ore della mia vita. Più tardi mi invitò a casa sua e lo visitai a Lucerna, rimasi due settimane. Parlavamo e per me fu come un’università – un’esperienza straordinaria: diventammo amici. Quando andai via mi disse: «cosa posso darti, cosa ti farebbe piacere?» Azzardai: «una copia di Tempi Moderni?» Arrivò a casa mia quattro giorni dopo con una sua lettera in cui mi ringraziava della visita e un PS: «dovresti imparare a fare anche tu dei regali». Chiamai New York e feci stampare una copia di Ragazzo tuttofare solo per lui.

Come le piacerebbe essere ricordato?
Non mi importa. Voglio sentire tutti i complimenti ora, mentre sono ancora qui. Non mi interessa quello che dirà la gente dopo. E mi godo ogni giorno che dio mi concede. Come si fa a non essere felici? Qui sotto c’è un macellaio che non lo è. Perché non è interessato davvero al suo lavoro. Quando tieni davvero a quello che fai, al film che stai facendo e le persone con cui lavori, ti da una grande autostima, ti senti più alto. Prima ero 1,20. Oggi faccio quasi 2 metri.