A Taranto, di fronte all’ex Ilva, il cantiere di un impianto eolico offshore a largo del porto della città, costituito da 10 turbine eoliche ciascuna da 3 MW, vede l’avvio dei lavori dopo ben 12 anni di opposizioni. La «pale rotanti» fan più paura dei fumi delle acciaierie. Le Regioni Abruzzo, Lazio e Calabria, invece, hanno approvato nel corso del 2021 delle moratorie che riguardano gli impianti eolici e in alcuni casi anche quelli fotovoltaici e gli elettrodotti. A Rimini, il Comune sta invece cercando di affossare un altro impianto eolico offshore, anche se lì davanti ci sono già piattaforme per l’estrazione di idrocarburi. L’opposizione ha già portato ad un ridimensionamento dell’opera, da 59 pale eoliche a 51. Sarebbero installate tra i 10 e i 22 chilometri dalle spiagge.

QUESTI ESEMPI RACCONTANO CHE L’ITALIA non è un Paese amico delle rinnovabili: a livello legislativo e autorizzativo, non facciamo nulla per garantire l’installazione di nuovi impianti di energia alimentati dal sole, dal vento, dall’acqua, dalle biomasse che permetterebbero una vera transizione energetica. Anzi, lo Stato e gli enti locali paiono i più grandi alleati della lobby dell’energia fossile, una macchina burocratica che frena la rivoluzione necessaria per affrontare la sfida del climate change. Sono venti, in tutto, i progetti esemplari citati nel rapporto Scacco matto alle fonti rinnovabili, presentato da Legambiente a metà gennaio. Per la prima volta, l’associazione ha messo in fila tutti i blocchi che paiono favorire le finte soluzioni all’esigenza di ridurre le emissioni, tra cui il gas. I numeri della situazione italiana sono impietosi: entro il 2030 è necessario installare almeno 70 GigaWatt (GW) di potenza da fonti rinnovabili se si vogliono rispettare gli obiettivi fissati a livello europeo (che prevedono nel 2030 una riduzione del 55% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990 e una copertura da rinnovabili del 72% per la parte elettrica), quello necessario a mantenere la temperatura al di sotto del grado e mezzo. L’Italia, però, negli ultimi 7 anni vanta una potenza media installata di appena 0,8 GW, e di questo passo siamo in ritardo di almeno 70 anni.

DI FRONTE A UNA SFIDA DEFINITA EPOCALE, l’associazione ambientalista ha scelto di mettere in fila tutti i vincoli legati alle diverse tecnologie pulite che rischiano di essere uno scacco matto al loro sviluppo: lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, discrezionalità nelle procedure di valutazione di impatto ambientale (Via), blocchi da parte delle sovrintendenze, norme regionali disomogenee tra loro a cui si aggiungono contenziosi tra istituzioni. La poca chiarezza (anche in merito alla necessità e urgenza della transizione) è – secondo Legambiente – anche una causa dell’opposizione dei territori, che devono districarsi tra regole confuse e contraddittorie. Per l’autorizzazione a realizzare un impianto eolico servono 5 anni, non i 6 mesi previsti dalla normativa.

TORNIAMO AI NUMERI: DOVREMMO INSTALLARE 9 GW di fonti rinnovabili l’anno da qui al 2030, ma dei 20 GW di progetti per i quali è stata fatta istanza dal 2017 ad oggi ne sono stati autorizzati solo 0,64. Il 91% degli altri interventi si trova nella fase iniziale del procedimento, mentre i provvedimenti di Via positiva sono stati emessi per appena 212 MW. Sono 1.030, invece, i MW a cui sono stati dati provvedimenti negativi, tra Via, autorizzazioni uniche regionali e archiviazioni.

A DIMOSTRAZIONE DI QUANTO POCO SI MUOVA l’eolico, nonostante il numero di richieste di connessioni e autorizzazioni che ci garantirebbe il raggiungimento degli obiettivi al 2030, Legambiente cita i risultati delle aste, quasi deserte. L’Italia è poco attraente per chi sceglie di investire nel settore delle rinnovabili. Ai problemi autorizzativi si aggiunge il contrasto nei territori, che possono assumere posizioni «di principio» indipendentemente dalla qualità del progetto, trasformandosi in fenomeni Nimby (Not in My Back Yard, cioè non nel mio giardino) e/o Nimto (Not in My Terms of Office, cioè non durante il mio mandato) che coinvolgono le fonti rinnovabili con sempre maggiore frequenza.

ECCO PERCHE’ SECONDO LEGAMBIENTE, serve una norma unica, con regole chiare, certe e trasparenti in grado di dare certezze al mercato come ai territori. Secondo l’associazione, una maggiore partecipazione dei territori nell’individuazione delle strategie da attuare per il raggiungimento degli obiettivi climatici e nella realizzazione e individuazione dei siti dove questi devono essere collocati, renderebbe la transizione più rapida. «Anche il mio miglior progetto, se calato dall’alto, rischia, infatti, di non vedere la luce», spiega l’analisi.

IL PRIMO INTERVENTO DEVE NECESSARIAMENTE riguardare il Decreto interministeriale del 10 settembre 2010, emanato dal ministero dello Sviluppo Economico di concerto con quelli dell’Ambiente e per i Beni e le Attività Culturali. Un testo vecchio di quasi 12 anni, obsoleto rispetto alla conoscenze delle diverse tecnologie, innovazione e applicabilità. Potrebbe essere opportuno intervenire anche in merito alla facoltà che hanno le Regioni di individuare aree non idonee all’installazione di specifiche tipologie di impianto. Alle Regioni è lasciata una discrezionalità eccessiva anche nell’iter di verifica d’assoggettabilità e di valutazione d’impatto ambientale.

LA VIA CRUCIS DELLE RINNOVABILI, IN OGNI CASO, continua anche dopo l’autorizzazione, con un secondo collo di bottiglia rappresentato da Terna e dall’autorizzazione per la connessione alla rete elettrica nazionale, in alta e bassa tensione. A fine 2020 erano circa 95 i Gigawatt di richieste, fra approvate e ancora in sospeso, per la connessione alla rete elettrica nazionale di trasmissione in alta tensione, a cui si aggiungono ulteriori 10 GW di richieste, sempre fra approvate e in sospeso, ai distributori locali di energia in media e bassa tensione, per un totale di 2.658 richieste nel triennio 2018-2020. Dati, questi, inerenti solamente ad eolico e fotovoltaico. Di questo totale, ben 27 GW si trovano ancora nelle prime due fasi dell’iter autorizzativo previsto da Terna, ovvero tra la richiesta di connessione e l’elaborazione del preventivo.

IN ATTESA DI RISPOSTA CI SONO ANCHE 4 GW di eolico off-shore e gli impianti di accumulo, le cui richieste sfioravano, a fine 2020, i 6 GW di potenza. In sintesi, quindi, a fine 2020 le richieste giacenti di connessione alle reti di distribuzione di Terna da parte di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili raggiungevano cumulativamente i 110 GW più 6 GW per gli impianti di accumulo.

A FRONTE DI QUESTO QUADRO, LEGAMBIENTE cita un documento di Confindustria, che ad ottobre 2021 ha avanzato una proposta di moratoria per fermare lo sviluppo dei grandi impianti da fonti rinnovabili. Secondo la confederazione degli industriali, l’eccessiva presenza di impianti da fonti rinnovabili rischierebbe di saturare la rete e – insieme al mancato completamento dei processi di liberalizzazione del mercato – potrebbe danneggiare il sistema energetico ed elettrico italiano. Una lettera che segnala un dibattito pubblico e un Paese indietro anni luce e incapace di cogliere la sfida del cambiamento climatico.