In certi momenti Federico Rampini ci va molto vicino: quando descrive i meccanismi di Amazon e Facebook o il cambiamento dei gusti e di utilizzo di prodotti, come la musica con Apple o in molti esempi che fornisce su Google. Poi, però, si ferma, perdendosi in esempi e considerazioni superficiali. Eppure il giornalista di «Repubblica», senza volerlo, o meglio, senza esplicitarlo, parla esattamente del pericolo più grande che arriva con il «futuro tecnologico» disegnato da guru e marketing expert della Silicon Valley: la «delega tecnologica». I social network ci sottopongono a quello che viene definito il potere del «default», accettare decisioni prese per noi da altri; decisioni che subiamo per pigrizia, «fiducia nel mezzo», poca intraprendenza o perché, in fondo, ci convengono.
Rampini scrive di questo sentimento, senza mai nominarlo, ma sbaglia il soggetto: non è che questa tendenza alla delega sia nata con Facebook, Apple o Amazon. Nella vita al di fuori dello schermo accade già, e non da poco tempo. Quanti di noi si affidano alla rappresentanza di chi prende le decisioni nel nostro paese o nel mondo? Nel suo libro, Rete padrona, Amazon Google &co. Il volto oscuro della rivoluzione digitale (Feltrinelli, pp.288, euro 18) Federico Rampini tenta di tenere un equilibrio tra lo sballo provato a indossare i Google Glass e il rischio che questa tecnologia comporta. Un discorso piuttosto comune, condotto con stile (Rampini sa scrivere, è indubbio), ricco di esempi (alcuni forse eccessivi e poco significativi, come quelli relativi a moglie e figlia): la tecnologia ha grandi possibilità, «ma anche» pericoli nascosti.
Il magma dei Big Data
La tecnologia ci fa vivere le informazioni in real time, «ma anche» ci rende schiavi, eccetera. La tesi di fondo è che la tecnologia, il suo utilizzo e il suo potere, finiscono per diventare importanti non solo nella vita di ogni singolo individuo, «ma anche» nei rapporti tra grandi potenze. Tutto il potere dei vari Google, Apple, Amazon, è in grado di scuotere equilibri internazionali, portando all’estrema importanza un fattore che fino a poco tempo fa veniva quasi snobbato: la sicurezza. E con essa la privacy. A questo proposito Rampini dedica davvero troppo poco spazio allo scandalo del Datagate, salvando Obama dalle grinfie dei suoi detrattori, sostenendo che la Casa Bianca «sapeva poco».
In questo magma di Big Data, «trasparenza» e proiezioni commerciali, Rampini «vede» il futuro mercato di tutto quanto riguarderà la sicurezza delle nostre azioni on line, ma lo raccoglie intorno a due mondi che tenta di dividere, ignorandone congruità e finalità omologhe. Nelle pagine di Rete padrona, Rampini tenta di tratteggiare il confronto tra due forme «ambigue» di visione della Rete: quella dei Big (Facebook, Google, ecc) che cercano il monopolio, il controllo, la creazione di ontologie per conquistarsi tutta la torta disponibile e i suoi «oppositori». Partiamo dai primi: questi nuovi padroni sono in lotta tra loro, coinvolgono governi e Stati e hanno come principale nemico «l’Internazionale» dei nuovi anarchici smanettoni (Wikileaks, Anonymous, Snowden). Precisiamo un punto: tutta la prima parte, riguardante l’arroganza dei grandi, la conosciamo. Specifichiamo solo un dato di cui Rampini sembra non ricordarsi o essersi dimenticato.
Il giornalista di Repubblica ricorda il passato idilliaco di una Silicon Valley in cui si respirava lo «spirito libertario». A pagina 197 scrive: «è possibile un ritorno alle origini della Silicon Valley, quella che ebbe un’anima libertaria e anticapitalista?». Peccato che questo passato non sia mai esistito, tutto quanto è uscito dalla Silicon Valley è cresciuto nel brodo dei «right libertarians», ovvero gli anarco-capitalisti. Persone con montagne di soldi che sognavano un’utopia digitale, che, in effetti, oggi pare essere piuttosto vicina. Si ricorda Rampini chi ha finanziato Paypal, Facebook e altri? Tutti quei progetti che vengono definiti «inizialmente anticapitalisti»?
Al riguardo, ci sono montagne di articoli on line ed è importante ricordare il libro del collettivo Ippolita, Nell’acquario di Facebook, dove sono ben dettagliate le scorribande capitalistiche dei fondi con cui sono nati moltissimi dei giganti di oggi. Descrivere questo passato «libertario» è dunque un errore, che non permette di comprendere la peculiarità e l’agire consueto di questi giganti. Un secondo – grave – errore di Rampini è quello di raccogliere nello stesso frame chi, apparentemente, si pone «contro» i «padroni della rete». Come si può definire libertario, ad esempio, Assange o Wikileaks, che ha una concezione radicalmente gerarchica del potere e che ha sfruttato, alla stessa stregua di Apple, i meccanismi contorti e spesso fuorvianti dell’odierna società dello spettacolo?
Perché Rampini non ricorda che i siti che gestiscono leaks, sono da sempre molto più sicuri e libertari (nel senso vero) di Wikileaks? Forse perché lo stesso Rampini è in questo palcoscenico su cui si muovono tendenze diverse dello stesso approccio: una cyber utopia totalitaria, perfetto vestito per le contemporanee società. Parlare di «trasparenza» nell’era dei social network è rischioso (per quanto Rampini sia molto critico sia con Assange, sia con Snowden e abbia posizioni difensive nei confronti di Obama) e andrebbe fatto, anche in un’opera pop, senza semplificare troppo.
L’affaire Foxconn
La «trasparenza» è, infatti, l’ideologia dominante tanto di Facebook, quanto di Wikileaks e accomuna tutti gli attori globali, impegnati nella nuova guerra sui dati. Semplificando troppo, fino a banalizzare, si ottiene l’effetto contrario: anziché spiegare, si aprono buchi neri nella comprensione anche di un libro divulgativo. Infine, un dettaglio specialistico: Rampini descrive le malefatte Apple, ricordando il caso Foxconn in Cina. Il giornalista ricorda l’opera di Mike Daisey che, in uno spettacolo teatrale, aveva raccontato quanto raccolto dai lavoratori cinesi della Foxconn.
Manca un piccolo dettaglio (che non esenta Apple da gravi responsabilità in termini di diritti dei lavoratori): a seguito di polemiche, Daisey ha ammesso di avere completamente inventato alcuni dettagli dei suoi spettacoli.