Ci siamo ritrovati, su circa 50 operatori in servizio, ad essere una decina al massimo negativi al tampone. Tutto gli altri risultavano contagiati. E questo accadeva nelle settimane drammatiche di gestione dell’emergenza, le due centrali di marzo. Con anche la nostra coordinatrice ammalata, ma grazie al supporto di colleghi provenienti da altre unità operative, ci siamo dovuti completamente reinventare, da un punto di vista organizzativo e gestionale».

Luca Dall’Asta di professione è infermiere e ha appena compiuto 30 anni, è in corsia dallo scorso marzo. Lavora in provincia di Cremona, presso l’ospedale Oglio Po, dove è anche Rsu per la Fp Cgil. Ripercorre quelle interminabili ore trascorse in prima linea, con turni anche oltre le 12 ore, per riportarci l’idea di un impegno umano ancor prima che professionale dal quale sarà difficile tornare indietro.

«L’ospedale Oglio Po – racconta Luca – nella gestione emergenziale è stato adibito a ospedale esclusivamente Covid, abbiamo incrementato i posti letto da 60 a 100 e da degenza ordinaria ci siamo trasformati in un reparto multispecialistico, anche di subintensiva, con pazienti sottoposti a una ventilazione non invasiva. Ci siamo tutti totalmente reinventati, con turni sistematicamente oltre l’ordinario, stravolgendo completamente il nostro tempo, dentro e fuori l’ospedale. Il tutto con scarse risorse e dispositivi di protezione individuale razionati. Ci siamo messi tutti in gioco e ora abbiamo acquisito un bagaglio di esperienze che difficilmente qualcuno ci toglierà».

Un reinventarsi che di certo non si inscrive nella retorica degli «eroi in prima fila». «Non ci sentiamo affatto eroi – spiega ancora Luca – perché è un lavoro che abbiamo scelto e che facciamo con passione. Non ci tiriamo mai indietro, a maggior ragione davanti alle emergenze. C’è stato di certo un impegno e una disponibilità maggiore, abbiamo sì fatto dello straordinario e non dell’ordinario, ma questo è il nostro lavoro». Anche perché, teme Luca, «il rischio è che la retorica degli eroi sia un po’ un parafulmine: un modo per giustificare la situazione senza che poi sia supportato da riconoscimenti non solo economici ma anche sociali».

E mentre Luca e i suoi colleghi rifiatano, con una pressione decisamente calata, grazie anche all’innesto di nuovi assunti, è ora il tempo di riflettere sul futuro. «Mi auguro che con l’impegno profuso e che tutti hanno visto – osserva -, sia emersa e riconosciuta la figura dell’infermiere come professionista della salute. Il riconoscimento di cui parlo deve essere anche e soprattutto di natura sociale perché nell’immaginario collettivo non dobbiamo essere più i factotum di 50 anni fa. Ed è per questo che guardo al rinnovo del contratto nazionale, peraltro scaduto, che preveda adeguate risorse economiche, sia per i salari che per una revisione completa del sistema contrattuale che permetta di ridefinire le aree delle competenze e delle professionalità per tutte quelle figure che compongono il sistema della salute».

Se al momento, in termini di riconoscimento economico, «la Regione Lombardia è sorda alle rivendicazioni che abbiamo fatto», lo sguardo di Luca guarda alla sanità così come dovrà essere nel «nuovo normale». «L’impegno, la disponibilità e la competenza – conclude – l’abbiamo messa in campo in questi giorni. Abbiamo rinunciato a tante cose, personali e professionali, e sarebbe coerente che tutto questo ci venga riconosciuto. Se vogliamo uscirne davvero migliori dobbiamo puntare, e lo dico da lombardo, ad un rafforzamento della sanità pubblica, con contratti che valorizzino le competenze e le professionalità che la animano e con investimenti economici adeguati nel sistema salute nel suo complesso».