Molto spesso mi mandavano i saluti tramite amici comuni. La prima volta che ci siamo visti è stato quando sono rientrato in Italia, nel 2002. Abbiamo cominciato a lavorare insieme ed è nata una bella amicizia.

Era il momento della guerra in Iraq, partecipavamo alle manifestazioni di protesta, la più imponente a Roma. Gino sentiva l’imperativo di combattere contro tutti i conflitti. Non si definiva un pacifista ma un uomo contro le guerre e questo è importante per capire Gino. È arrivato a questa posizione perché aveva toccato con mano l’orrore che i conflitti producono, in particolare in Afghanistan dove è stato testimone dell’assurda crudeltà inflitta alla popolazione. Partendo dalle vittime ha detto basta.

Gino aveva capito che i conflitti servono a chi ha il potere a questo mondo, al 10% che consuma da solo il 90% dei beni della terra. Le guerre sono parte essenziale di chi gode da solo dei benefici e vuole continuare a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Per questo era impegnato sul versante dell’ingiustizia sociale. Contrasto alle guerre e giustizia sociale sono due coordinate importanti del suo pensiero.

No alle guerre e alle spese in armamenti, sì a una sanità pubblica per tutti era l’altro fronte in cui era impegnato: in questo periodo di pandemia si è battuto chiarissimamente contro l’apartheid vaccinale e sanitaria a cui sono costretti tanti paesi e continenti. Gli faceva orrore così si è impegnato nella battaglia per aumentare la produzione e abbassare il prezzo dei vaccini cambiando le regole che tutelano la proprietà intellettuale. Si definiva convintamente ateo ma era vicino a uomini di chiesa come don Gallo, don Ciotti e il sottoscritto. Ci voleva davvero bene. La sua visione contro le guerre si avvicina a quella di Papa Francesco su molti fronti.

Nel 2018 ero a Riace, era un brutto momento per l’allora sindaco Mimmo Lucano, finito sotto indagine. Lucano aveva deciso di dare la cittadinanza onoraria a me e a Gino, mi chiese di chiamarlo per chiedergli se avesse voluto accettare. Gino fu felice ma non riuscì a venire, la cerimonia avvenne via Skype. A novembre l’avevo risentito, il governo lo voleva nominare commissario alla Sanità in Calabria, ci stava seriamente pensando ma il presidente Sprirlì dichiarò «non abbiamo bisogno di missionari africani». Gino si è impegnato lo stesso a Crotone, prima allestendo l’ospedale da campo in piena emergenza e poi organizzando il reparto Covid nell’edificio principale. Guerra alle guerre, giustizia sociale e sanità pubblica per tutti è il lavoro comune che dobbiamo continuare. Un’eredità pesante che lascia a tutti noi.