E’ una delle bevande più antiche – si beve da almeno 5.000 anni – e diffuse al mondo. Eppure, come fosse un’invenzione dei nostri giorni o un prodotto industriale innovativo, sulla birra c’è chi ha messo il suo brevetto. I colossi Carlsberg e Heineken hanno ottenuto nel 2016 dall’EPO (European Patent Office, Ufficio Europeo del Brevetto) tre brevetti su piante di orzo, sul metodo di produzione e sulla bevanda che ne deriva.

Contro i 3 brevetti si è schierata da alcuni mesi una coalizione di organizzazioni della società civile che, con il nome di «No patents on barley & beer» (No ai brevetti su orzo & birra), ha presentato ricorso all’EPO e ne ha chiesto la revoca. La coalizione ha anche lanciato una petizione da sottoscrivere on line (https://act.wemove.eu/campaigns/no-brevetti-birra-orzo) per rafforzare la sua posizione. Nei giorni 2 e 8 ottobre 2018 sono in calendario le prime audizioni per il ricorso che si annuncia lungo e capzioso.

LA BIRRA CONTINUA A SCORRERE A FIUMI, sia chiaro. Però la posta in gioco è davvero alta: decidere se sono ammissibili o meno i brevetti concessi sulle piante (lo stesso vale per gli animali) coltivate con metodi convenzionali. Non siamo nel campo dell’ingegneria genetica, ma in quello dell’agricoltura chiamiamola tradizionale, quella che seleziona le piante con certe caratteristiche che sono presenti in natura e le incrocia per creare altre piante più forti o più adatte all’ambiente, al clima, al gusto.
L’orzo al centro del dibattito è frutto di mutazioni casuali (random mutations) del genoma ottenute con procedure standard. Il brevetto EP2384110 copre piante di orzo che presentano ridotti livelli dell’enzima lipossigenasi; il EP2373154 quelle che presentano bassi livelli di solfuro dimetile, il terzo, l’EP2575433, riguarda invece un procedimento di maltificazione con minori consumi energetici. Ciascuno dei 3 brevetti copre piante di orzo, raccolto, processo di produzione e la birra ottenuta con tale processo. Con questi orzi si potranno produrre birre più stabili, che durano più a lungo, non soggette alla variabilità annuale dei raccolti. Per chi vende birre in tutto il mondo, un sicuro vantaggio competitivo.

SIAMO DI FRONTE A INVENZIONI O A QUALCOSA che già esiste in natura e che è stato semplicemente identificato? Il busillis sta nell’interpretazione del Trattato europeo sui brevetti (European Patent Convention), la legge che stabilisce le norme di funzionamento dell’EPO, in particolare dell’articolo 53 (b), che vieta la concessione dei brevetti su varietà di piante e animali o sui processi «essenzialmente biologici» (cioè, riferiti alla biologia) per la produzione di piante e animali, come del resto ribadito in vari documenti del 2017 sia del Parlamento europeo che della Commissione.

Per l’EPO, evidentemente, i metodi di coltura convenzionali, quelli che gli agricoltori sanno fare in campo da millenni, ovvero selezioni e incroci delle piante grazie alla naturale e infinita variabilità insita nella vita e che si fanno anche in laboratorio con strumenti più o meno sofisticati, non sono «essenzialmente biologici», quindi sono brevettabili.

Infatti sono circa 200 i brevetti già concessi in Europa su varietà di piante (e animali) ottenute grazie a metodi convenzionali. Syngenta ha brevettato piante di peperoncino ottenute dall’incrocio con una varietà selvatica trovata in Giamaica che è naturalmente resistente a certi insetti nocivi: d’ora in poi nessuno, se non Syngenta (o chi a Syngenta pagherà royalties), potrà coltivare piante che sviluppano questa resistenza. Stessa storia per Monsanto che ha ottenuto un brevetto europeo su meloni resistenti a certi virus grazie all’incrocio con un melone indiano che ha in sé questa proprietà. Seminis (del gruppo Monsanto) ha brevettato broccoli incrociati e selezionati per avere una certa forma che facilita la raccolta meccanizzata. Anche per questi e altri casi sono stati presentati ricorsi, da anni in attesa di una pronuncia definitiva.

COSA SUCCEDE SE LE PIANTE (E LO STESSO VALE per gli animali) sono considerate alle stregua di invenzioni? Le prime ripercussioni si avranno su chi coltiva l’orzo. «Carlsberg e Heineken potranno richiedere ai loro fornitori di cereali di coltivare l’orzo brevettato – spiega Christoph Then, coordinatore della campagna No patents on barley & beer – e questo genererà ulteriori profitti alle due multinazionali dalla vendita dei semi di orzo sui quali gli agricoltori dovranno pagare royalties. Per i consumatori, c’è il rischio di veder crescere la fetta di mercato dei grandi monopolisti a scapito della possibilità di scelta».
Decisamente contraria alle privative è anche la Coldiretti. «La vita non si può brevettare. Aprire a questo tipo di brevetti sulle piante significa limitare fortemente la libertà degli agricoltori – spiega l’avvocato Cinzia Coduti, consulente legale dell’area Ambiente e Territorio di Coldiretti – ma significa anche limitare la ricerca scientifica perché viene negato l’accesso a materiale genetico che è fondamentale per fare ricerca, per accedere alla biodiversità, per sviluppare nuove varietà che sono alla base del modello di sviluppo dell’agricoltura italiana. Il sistema dei brevetti, per come è concepito dall’EPO, crea iniquità e per questo va riformato».

Una riforma dell’EPO è invocata anche dalla coalizione No Patents on barley&beer. «L’intero budget dell’EPO viene dalla concessione dei brevetti. Più brevetti concede, più guadagna. E’ un grande business – sottolinea Christoph Then. E’ bene chiarire che l’EPO non è un’istituzione dell’Unione Europea, quindi le sue decisioni non ricadono nella giurisdizione della Corte Europea di Giustizia». I suoi 3 livelli di giudizio (esame e concessione dei brevetti; commissione tecnica di appello; commissione allargata di appello) sono sempre esercitati al suo interno e non sono sottoposti a una corte internazionale. Per quanto formalmente indipendenti, i membri dei suoi organi sono di fatto dipendenti o nominati dall’EPO stesso. Che garanzie di trasparenza può dare un simile organismo?

IL MONDO ITALIANO DELLA BIRRA E’ DIVISO sulla questione brevetti: quelli di Unionbirrai si dicono preoccupati: «La produzione agricola deve rimanere in mano agli agricoltori – dice Andrea Soncini, consigliere di Unionbirrai – nessuno vuole vietare ai grandi gruppi di fare ricerca o di mettere a punto processi di maltificazione particolari, né di svelare la ricetta, ma metterci addirittura il brevetto ci sembra eccessivo. E’ nostra intenzione creare una commissione di studio per valutare come evolve questa faccenda».

Meno preoccupati i piccoli birrifici che fanno capo a Federbirra, così lontani dalle logiche delle multinazionali da non temerne le mosse. «Cercando di vedere le cose in positivo, questa vicenda dei brevetti potrebbe essere paradossalmente uno stimolo a produrre sempre più birra con una filiera tutta italiana e di qualità – dice il direttore generale di Federbirra, Davide Di Giacinto – e dipendere sempre meno da prodotti esteri».

Nessun problema invece, per Assobirra (Confindustria): «Assobirra è da sempre favorevole a tutte quelle soluzioni in grado di favorire un minor impatto ambientale dei processi produttivi e, al tempo stesso, un miglioramento della qualità del prodotto – scrivono in un comunicato – I brevetti riconosciuti dall’EPO vanno proprio in questa direzione: riguardano tecniche di trattamento di varianti di orzo che consentono maggior sostenibilità e qualità nel processo di maltazione. Confidiamo in un’ampia discussione parlamentare a Bruxelles così da creare le condizioni per una crescita sostenibile del comparto in tutta Europa».

IN SLOW FOOD CHI CONOSCE BENE IL COMPARTO birra sa che sulla sostenibilità della produzione della birra si è fatto ben poco fino ad ora. «Il nostro giudizio su questi brevetti è fortemente negativo – dice Eugenio Signoroni, curatore della guida Birre d’Italia di Slow Food – le piante non possono diventare qualcosa a pagamento. E’mun problema etico, ma anche di disparità tra piccoli e grandi produttori. Il primo passo da fare sarebbe sensibilizzare chi beve la birra, far capire che una bottiglia di birra è il risultato di vari passaggi che hanno a che fare con l’agricoltura e che la qualità dipende da quello che succede nel campo».

In Germania,paese di forti bevitori dove la birra è una questione nazionale, contro i brevetti sono già scesi in piazza.