È il suo primo compleanno post mortem. Anche se Diego Maradona per il calcio, per il cinema, per i libri, non è morto. Non ci crede ancora nessuno. Sessantuno anni oggi, se ne scrive, se ne parla quasi con cadenza quotidiana sulla stampa argentina, europea, italiana. Purtroppo, ancora cronaca. Negli ultimi giorni, le ultime, terribili, indiscrezioni: Maradona è morto perché abbandonato al suo destino, gonfio, con il cuore scoppiato, l’agonia di 12 ore, il rimpianto di un ipotetico ricovero salva-vita, secondo una commissione medica di 20 esperti messa in piedi dall’accusa dalla procura di San Isidro (Buenos Aires), nei confronti dell’equipe che l’ha tenuto in cura dopo un intervento chirurgico per un ematoma alla testa.

NEI MESI PRECEDENTI c’è stato un po’ di tutto, dal medico personale, Leopoldo Luque, che ha mostrato al mondo le foto con Diego, raccontando nei dettagli di crisi di astinenza da alcol, delirii, sofferenze. Eppoi, la storia delle figlie divise dal padre, gli altri figli che saltano fuori come funghi, in Argentina, a Cuba. Senza dimenticare le trasmissioni televisive a scavare tra i resti della tua vita. Uno spettacolo indecente. Uno spezzone doloroso dell’ultima parte della sua vita.

NE SONO ACCADUTE di cose nell’anno della morte di Diego. Pelè, l’altro lato della Luna quando si parla dei più grandi di sempre, combatte contro un brutto male, è stato operato, ora pare si sia ripreso, come Diego in tasca una decina di vite. Poi, Leo Messi, l’erede designato, che ha lasciato il Barcellona, dove Diego ha giocato, si è rotto una gamba ed è scappato verso Napoli, in direzione Paris Saint Germain.

ANCHE MARADONA, segnato e dipendente dalla cocaina, voleva lasciare Napoli per la Francia, per l’Olympique Marsiglia di Bernard Tapie. Non ci riuscì. Soprattutto, Messi, si è tolto, come dicono gli americani, la scimmia dalla spalla, sollevando finalmente, a 34 anni, un trofeo internazionale con la maglia della nazionale argentina. Ha vinto la Coppa America da protagonista, non come i Mondiali messicani vinti da Diego in solitaria nel 1986, quelle settimane appartengono alla ionosfera del gioco, roba che non si vede più. Ma Messi ha infranto quella barriera, ora quel paragone eterno con la grandezza del Diez regge un pochino di più. E Diego ne sarebbe stato felice.

Oppure no, da protettore, fustigatore, provocatore di Messi, che quel trono mai gli ha sfilato nel sentiment del popolo argentino. Un altro sorriso glielo avrebbe provocato il Napoli che domina, assieme al Milan, il campionato di Serie A. Una squadra di qualità che somiglia (un poco) a quelle edizioni che il Diez ha portato a vincere in Italia e in Europa. Forse, non gli sarebbe piaciuto il silenzio del pubblico del San Paolo, che pare essere diventato un teatro, mentre negli anni Ottanta era una specie di candelotto di dinamite pronto a scoppiare.

DIEGO AVREBBE OSSERVATO la decadenza della Juventus, che durante i tuoi sette anni napoletani è stata più volte battuta al San Paolo, senza Cristiano Ronaldo (un altro dei tuoi discepoli, che si scioglieva letteralmente alla sua vista), avrebbe invece apprezzato il ritorno in Italia di Josè Mourinho, grande amico e suo devoto ammiratore. E a proposito di culto, di amore matto e disperato, in Argentina è stata coniata addirittura una criptovaluta in suo onore, il Maradollaro. Sul sito della società che l’ha fondata si legge che è la prima criptovaluta argentina popolare.

Oggi a Buenos Aires si festeggia il giorno della sua nascita e tra i tanti omaggi c’è quello del governo che ha deciso di dichiarare patrimonio nazionale argentino la casa natale di Diego, al civico 523 di Calle Azamor nella bidonville di Villa Fiorito. La Villa, dove fu registrato quel servizio tv in bianco e nero, Diego a nove anni, la palla che vola in aria e non cade mai in terra, tra colpi di testa e palleggi, per poi raccontare il suo sogno al microfono: vincere i Mondiali.

SI CELEBRA, SI FESTEGGIA, si officia il rito del compleanno del Diez anche a Napoli, tra lo show pirotecnico a un passo dal murale a lui dedicato dal genio della street art Jorit, nel quartiere San Giovanni a Teduccio. Poi c’è l’evento organizzato all’esterno del Centro Paradiso del quartiere Soccavo, dove Maradona si allenava nel fango, allietando compagni, allenatori e spettatori non paganti. Di sicuro, non gli sarebbe piaciuta la Maradona Cup a Riad, il 14 dicembre, in campo Barcellona e Boca Juniors, senza il Napoli e l’Argentina, i suoi amori.

OVVIAMENTE SULLA MORTE di Diego il cinema, la letteratura non potevano stare in panchina. Su Amazon Prime Video è andata in onda la prima delle dieci puntate di Maradona: Sogno Benedetto, biopic dedicato alla tua incredibile esistenza. Una serie girata in cinque paesi, Argentina, Italia, Messico, Uruguay, Spagna, benedetta dallo stesso Maradona, non dall’ex moglie Claudia e le figlie Dalma, Giannina. Eppoi, i libri: ne ha scritto Gianni Minà, cultore del suo mito e intimo amico, con Non Sarò Un Uomo Comune (Minimum Fax). A Napoli uno degli storici fondatori del Te Deum – movimento filosofico-culturale partenopeo in suo onore, tra filosofi e pensatori -, Oscar Nicolaus, ha scritto A Tavola con Maradona (Il Leone Verde), libro sui piatti da te amati e le ricette che diventano metafore delle prodezze in campo, raccontando pezzi di Napoli e Buenos Aires.