L’onda nera di Genova fa parte di una reazione a catena. «Noi siamo gli utilizzatori finali e difficilmente ci preoccupiamo del macro sistema-petrolio, se non quando ci accorgiamo delle chiazze in mare. Lo sversamento del greggio nel Polcevera è frutto di un effetto domino, che parte dallo sfruttamento dell’Africa e arriva fino a noi». Lo sostiene Federico Valerio, chimico ambientale, già dirigente dell’Istituto Tumori di Genova.

A una settimana dalla falla dell’oleodotto Iplom, quali rischi stiamo correndo?

La pioggia ha ingrossato il Polcevera dove sono confluiti i rilasci di petrolio; le panne, che avevano assorbito buona parte delle 700 tonnellate di olio, si sono rotte e il petrolio è finito in mare. Così, una grande chiazza si sta spostando verso la Francia. Al largo anche ridotte quantità si distribuiscono su grandi superfici. Si registra, invece, la morte biologica della foce del torrente. Fenomeni come questi non danno scampo a pesci, rane e microrganismi. Il cormorano, fotografato mentre cercava di riscaldare le ali piene di petrolio con i raggi solari, era il simbolo di una parziale rinascita di un’area fortemente impattata da una lunga eredità industriale. Era lì perché stava «pescando» nel Polcevera. Cosa che per molto tempo sarà impossibile.

Il greggio sversato proveniva dalla Nigeria e dal Porto Petroli ha attraversato il territorio altamente antropizzato della Liguria in direzione Busalla. È una storia non solo italiana?

Al di là della coincidenza con il referendum, l’emergenza di Genova è la punta dell’iceberg di una situazione più ampia. Parte dall’Africa, Nigeria in questo caso, dove non ci preoccupiamo dei gravi danni causati dallo sfruttamento del petrolio. Arriva da noi prima al porto Multedo, dove con l’Istituto Tumori avevamo certificato una situazione difficile, e poi a Busalla, stabilimento che è stato luogo di incidenti gravi. Il petrolio, raffinato in gasolio, finisce nelle nostre macchine e si trasforma in quelle polveri sottili responsabili dell’inquinamento atmosferico che, solo nel 2012, ha causato oltre 80mila morti in Italia. Nell’arco di cent’anni abbiamo cambiato la composizione chimica del pianeta.

Genova rappresenta bene questa punta dell’iceberg, anche per gli straordinari eventi atmosferici che l’hanno coinvolta?

Sì, per le due alluvioni disastrose dovute anche a piogge eccezionali, le bombe d’acqua, su un territorio fragile. Quest’anno non è piovuto granché e non va bene lo stesso. L’accordo di Parigi è fondamentale perché dimostra come nessun stato, dagli Usa alla Cina, neghi più la problematica climatica con il messaggio «diamoci una calmata». Meno positive sono, però, le scelte governative. Anche in Italia dove il premier Renzi autorizza a trivellare per quel poco di gas e di petrolio presente nei nostri mari. E, a proposito di contraddizioni, ricordiamoci come nel nostro Paese ci siano meno impianti fotovoltaici di quelli installati in Germania. La Bassa Valpolcevera è un territorio con lunga storia industriale; con la chiusura degli impianti più inquinanti la qualità dell’aria era migliorata.

Siamo di fronte a un vero disastro ambientale o si tratta di un’espressione esagerata?

Se prendiamo come termine di paragone il naufragio della petroliera Haven nel 1991 davanti a Voltri, quando bruciarono circa 90 mila tonnellate di petrolio greggio in mare, le proporzioni qui sono fortunatamente inferiori, ma la situazione non si deve minimizzare. È delicata. Né si possono considerare autosuggestioni i malori delle persone nei giorni successivi all’incidente. Non doveva succedere, la condotta non doveva essere collocata in quel luogo vicino a case e torrenti. Importante è capire, quando l’impianto era stato revisionato, se aveva un sistema automatico di valvole per il blocco in caso di incidente oppure no.

Ritiene che l’intervento sia stato tempestivo ed efficace?

Penso di sì, nel possibile. È però mancata una corretta informazione da parte delle istituzioni. Questo è uno dei temi su cui il comune dovrebbe riflettere come quello dell’inquinamento dei motori accessi delle navi ferme nel porto di Genova. Emettono grandi quantità di ossido di azoto, sempre oltre i limiti consentiti. Basterebbe elettrificare la banchina e permettere alle navi di spegnere i motori e, magari, alimentare la banchina con biometano.