«Luglio, col bene che ti voglio vedrai non finirà…», cantava – vincendo il Disco per l’estate – Riccardo Del Turco nel ’68. Già, la relativa autonomia dell’arte.

Caro sottosegretario Giacomelli purtroppo luglio si è concluso e la conclamata consultazione sulla nuova Convenzione tra lo Stato e la Rai non è partita. La concessione dei «media di servizio pubblico» (non del mero servizio pubblico, così ha suggerito il consiglio d’Europa nel 2012 e come ha rammentato Marco Mele sul Sole 24 Ore) sarà ugualmente ridefinita entro la fine dell’anno? Tra l’altro, in quest’ultimo ipotetico caso, andrebbe spiegato a che servirebbe il contratto di servizio, la cui firma coinciderebbe di fatto con la sua stessa scadenza.

Insomma, luglio è passato e nulla è all’orizzonte, salvo il piano di 97 pagine sul riordino dell’informazione della Rai – accorpata in due filiere – presentato dal direttore generale Gubitosi al consiglio di amministrazione e in procinto di essere illustrato alla commissione parlamentare di vigilanza. Ampiamente raccontato nei giorni passati da Aldo Fontanarosa su la Repubblica. Ecco. L’unica consultazione pubblica è quella in corso per impulso di Giulietti sul sito di «Articolo 21», da cui sta emergendo una proposta da rilanciare: un «contropiano» da presentare tra poche settimane, in grado di dare basi teoriche e valoriali al necessario confronto con i progetti di cui si parla. I veri innovatori sono coloro che sanno voltare davvero pagina, uscendo dalla «coppia» tagli e demagogia. Si impone un vero sguardo della e sulla realtà. Con la diffusione della rete, tecnologia e forma culturale come diceva Raymond Williams riferendosi alla televisione, è avvenuta una rottura. Qualsiasi ri-costruzione della proposta pubblica-bene comune passa da qui. È la messa alla prova della cifra di progressismo effettivo contenuto nei vari programmi, al di là delle promesse. Altro che riunificazione delle testate, eventuale effetto di una ben più impegnativa rivisitazione del modello di broadcasting pensato sotto il segno dell’analogico. Reti, testate, settori classici appaiono parole ingiallite, come è superata la fabbrica del fordismo. Video on demand, streaming, all news, creatività digitale sono paradigmi di riferimento, mentre si richiede un aggiornamento dei livelli e degli stili delle produzioni di film , audiovisivi, format. È il tema delle biblioteche dei saperi. Né serve evocare ex post il santuario della Bbc, ora che pure lì si sta rimettendo in causa tanto del vecchio blasone. «No, non è la Bbc..» recitava uno dei motivi della mitica trasmissione di Arbore e Boncompagni. Il contesto italiano è tutt’altro. Forse si poteva immaginare un percorso omologo negli anni settanta, agli albori della privatizzazione dell’etere. Quando ancora non era esploso il fenomeno berlusconiano e si era in grado di procedere oltre la riforma della Rai del ’75.

Avvenne il contrario e la verità ora non va rimossa. Come ricorda Franco Rositi nella efficace relazione svolta al convegno sulla Rai dell’Istituto A. Gemelli e C. Musatti nel maggio del 2006, tra i compiti essenziali individuati dal Libro Verde preparato dal governo britannico in vista del rinnovo della «Royal Charter» del 2007 vi era quello di sostenere una democrazia consapevole. L’esatto opposto dell’utilizzazione dei media al puro fine del consenso. E neppure la migliore riforma reggerebbe, poi, se venisse svincolata dagli altri due elementi del trittico democratico: regolazione del conflitto di interessi e abrogazione della legge Gasparri.