Della letterina di Giorgio Agamben e Massimo Cacciari sul green pass si è discusso fin troppo. Marco Cremaschi ha ricondotto la questione a uno scontro fra “perfetti liberali e liberisti reazionari” e altri liberali, più pragmatici, ma la questione è forse più complicata: investe quell’articolazione dei principi dell’uguaglianza e dell’emancipazione che sta nel codice genetico della sinistra (peraltro anche a destra l’esaltazione della libertà individuale non è semplice da conciliare con i valori dell’ordine, della tradizione, dell’identità esclusiva).

Non è nuova neanche l’idea che certe istanze antiautoritarie, il “vietato vietare” e il “vogliamo tutto”, coltivate nei movimenti radicali a partire dagli anni sessanta, siano state assunte nella narrazione che ha legittimato le politiche neoliberali. Ma allora la linea di frattura è fra una visione libertaria e una repubblicana, con diverse concezioni dei diritti e della libertà? L’enfasi sull’autodeterminazione del soggetto, il sospetto per le politiche pubbliche che si rivelano dispositivi di controllo biopolitico, contro l’idea che la liberazione individuale si ricollega all’emancipazione collettiva e che la libertà, per essere effettiva, richiede determinati vincoli e limiti?

Agamben non ci aiuta a venirne a capo. Partito da posizioni negazioniste nel febbraio 2020, ha via via spostato l’oggetto dei suoi articoli, dalla nozione stessa di contagio al distanziamento sociale, all’uso della mascherina, all’“abolizione dell’amore”, alla vaccinazione, mantenendo il tono apocalittico e lo stile oracolare. Chi è interessato può trovare in rete importanti reinterpretazioni del suo pensiero a partire dagli scritti degli ultimi due anni. E tuttavia i problemi ci sono.

In un articolo su La fionda intitolato “Sovrano è chi discrimina i non vaccinati”, Nello Preterossi – tutt’altro che un libertario antistatalista – coglie “le pulsioni autoritarie del potere neoliberale sia quando si tratta di lavoro sia quando si tratta di green pass”. Ha certamente ragione nel tenere insieme “questione sociale ed emergenza democratica, diritti sociali e diritti di libertà” e non c’è dubbio che il neoliberalismo mescola promessa di liberazione e prassi oppressive, controllo sociale, politiche sicuritarie. Ma come si disarticola questo nesso, come si contrasta questa narrazione di grande successo? Non mi convince l’idea di un passaggio lineare dall’attacco ai diritti sociali e al lavoro alla messa a repentaglio della sovranità democratica e ora delle libertà civili.

La pandemia c’è ed è una tragedia globale; una serie di pratiche cautelari e i vaccini sono necessari per cercare di superarla. Qui non si tratta dell’emergenza come prassi ordinaria, come è avvenuto per il G8 o i mondiali di nuoto. Ma non c’è dubbio che l’adozione dello stato di emergenza ha introdotto deroghe ai diritti civili e politici. Non solo alle libertà individuali: basta pensare alla fine del governo Conte II. La scelta di non passare dalle elezioni, giustificata dal presiedente Mattarella con l’emergenza sanitaria, ci restituisce una gestione della pandemia assai differente dalla svolta verso una reale transizione ecologica, il rilancio del welfare, le politiche attive del lavoro, la garanzia di reddito e servizi per chi rimane indietro, il rilancio della sanità pubblica e la ricostruzione di quella territoriale, l’investimento nella scuola e nella ricerca.

L’inversione di tendenza rispetto alle politiche che negli ultimi quarant’anni hanno esaltato le disuguaglianze ed emarginato i lavoratori è tutt’altro che all’ordine del giorno. I nuovi consulenti del governo, da Francesco Giavazzi a Elsa “a job isn’t a right” Fornero, ai paleoliberisti dell’Istituto Bruno Leoni, sono lì a fare da testimonial e non solo.

L’emergenza rende più difficile contrastare tutto questo; è ardua l’organizzazione del conflitto sociale strutturato e produttivo mentre, paradossalmente, si apre lo spazio alle forme corporative, particolaristiche, anomiche di protesta. E se si allarga lo sguardo, i nostri dubbi sui vaccini scolorano rispetto all’esclusione dalla campagna vaccinale di gran parte dell’umanità. Per non dire del rapporto fra capitalismo globale, crisi ecologica, insorgenza delle epidemie.

La balcanizzazione della sinistra politica non aiuta e, di nuovo, nella scelta del gruppo parlamentare di LeU (con l’eccezione isolata di Nicola Fratoianni) di sostenere questo governo, la volontà di mantenere Roberto Speranza al ministero della sanità ha evidentemente contato. Davvero c’è bisogno di un rilancio del pensiero critico, e – ha ragione Tommaso Nencioni – il diritto a un caffè al tavolino non è la questione più importante.