Precipita l’affluenza alle urne e se non il crollo non diventa valanga è solo grazie alle regioni meridionali. Il dato di sintesi è sconfortante: quasi il 15% di elettori in meno rispetto a cinque anni fa. Ma è un calcolo che tiene insieme storie e comuni diversi. Pesa il risultato di Roma, che con i suoi due milioni e trecentomila elettori potenziali rappresenta da sola più di un terzo dell’intero turno elettorale. Nella Capitale è andato a votare poco più di un elettore su due, il 52,8%. Il confronto con le ultime comunali, quelle del 2008, consegna un pesante -20,9%. Per la prima volta gli astenuti sfondano il muro del milione di elettori, sono oltre un milione e 113mila. I precedenti (nel 2008 tra il primo e il secondo turno si perse un altro 10%) autorizzano la previsione che il prossimo sindaco, dopo il ballottaggio, risulterà scelto da una minoranza dei romani.

Tra i capoluoghi, è Siena quella che contiene la crescita dell’astensionismo: (l’affluenza cala di “soli” 8,25 punti percentuali), ma è proprio la rossa e civica Toscana a segnare il crollo più clamoroso a livello regionale, meno 20%. Va così o quasi anche in Emilia Romagna e Lombardia (-19%), molto male anche Veneto, Umbria, Marche, Piemonte e Liguria, dove il calo dell’affluenza va dal 17 al 12%. Altra musica al sud, dove l’affluenza in passato ha sempre segnato il passo rispetto al centro-nord (anche se con scarti minori per le amministrative rispetto alle politiche). La Campania perde meno del 5% di elettori rispetto a cinque anni fa ed è la regione a soffrire di meno della disaffezione, oltre che probabilmente l’unica dove un medio comune (Maddaloni, in provincia di Caserta, quasi le stesse dimensioni di Siena) registra addirittura una crescita della partecipazione. Contengono le perdite anche Calabria, Sardegna e Puglia (-5%), e con altre percentuali anche Molise (-6%), Basilicata (-7%) e Abruzzo (-8%). Si tratta è vero di regioni che partivano da affluenze più basse, ma adesso le loro soglie di partecipazione sono simili a quelle del centro-nord.

Nelle città, colpisce il dato di Pisa, dove l’affluenza si ferma al 55,77% facendo registrare un crollo record: -24,18%. Male anche Brescia, che sfiora il 20% in meno, Treviso e Ancona. L’epicentro del crollo è però evidentemente Roma, dove cinque anni fa gli astenuti superavano di poco i 600mila elettori e dodici anni fa non raggiungevano i 500mila. Qualcosa di più nel 2006, quando gli astenuti si fermarono di poco sotto la soglia degli 800mila, comunque lontanissimi dal milione e centomila di ieri (gli elettori aventi diritto sono rimasti più o meno gli stessi). Furono, quelle del 2006, le ultime elezioni comunali a Roma senza il traino del voto politico, quindi simili a quelle di quest’anno. Ma l’affluenza nel 2006 raggiunse in ogni caso il 66%, oltre 14 punti in più di ieri. Impietoso poi il paragone con il turno elettorale più recente, di appena tre mesi fa: a Roma si è perso un quarto degli elettori rispetto alle politiche e il 17% rispetto alle contemporanee regionali. Attenzione però a parlare subito di scenario americano: per il sindaco di Los Angeles la settimana scorsa ha votato appena il 15% degli elettori registrati.

In attesa dei dati assoluti che soli potranno spiegare quali partiti sono stati maggiormente penalizzati dall’astensionismo (che più o meno ha penalizzato tutti), si può già dire che il Movimento 5 Stelle può cercare in questa forma di protesta, ancora più estrema del voto a Grillo, le ragioni della sua frenata. Probabilmente una parte di quelli che avevano votato per i grillini alle politiche ha penalizzato così la scelta isolazionista dei 5 stelle in parlamento, o l’ha portata alle estreme conseguenze. Queste erano anche le prime elezioni dopo la nascita del governo delle larghe intese, e il centrodestra sembra aver pagato più del centrosinistra la scelta «anomala» di allearsi con gli storici avversari.

Ma soprattutto si deve cogliere la mancata fiducia degli elettori nella dimensione locale della politica, che così fa il paio con la delusione già registrata a livello nazionale. In questo caso non c’è l’alibi della legge elettorale. Anche il meccanismo di elezione diretta del sindaco, quello che più si avvicina a un modello presidenziale, non basta più a motivare un elettorato in fuga dalla politica. E probabilmente non sono estranee all’esito anche le dimostrazioni di impotenza che le amministrazioni locali hanno offerto negli anni della crisi economica. Senza soldi e senza capacità di incidere sul governo nazionale per farsi assegnare nuove risorse, i comuni non funzionano più da contraltare alla politica romana. Scivolano nella stessa aria grigia dell’indifferenza, o di quella contestazione che è rinchiusa in un gesto di astensione.