Finché è durato è stato bello. Jannik Sinner è stato a un passo (lungo quanto un set, a dire il vero) dall’approdare in semifinale a Wimbledon e, soprattutto, dal battere il campione in carica Novak Djokovic. La classica partita che simbolicamente poteva rappresentare il passaggio di consegne, la defenestrazione (sportiva) del vecchio re e l’incoronazione di quello nuovo. Non è andata così. Alla fine ancora una volta, la restaurazione ha prevalso sulla rivoluzione.
Quello tra Sinner e Djokovic è stato un match strano, con tanti parziali e poco equilibrio nonostante la partita sia terminata al quinto set. Subito avanti il serbo, quasi a mettere in chiaro il divario tra il campione con più di mille battaglie al suo attivo, e la giovane promessa che di incontri, invece, ne ha disputati poco più di centocinquanta e di quarti di finale in uno Slam appena tre, compreso questo sul prato non proprio rigoglioso di Wimbledon.

A UN PUNTO dal 5-1, accadeva l’imprevedibile. L’italiano ribaltava la situazione andando a colpire l’avversario sul suo terreno prediletto, risposte, gran ritmo e scambi prolungati che finivano per dare a Sinner dodici game su quindici. Djokovic sommava errori su errori, non era efficace al servizio e non prendeva in mano il gioco con la risposta, il suo personale marchio di fabbrica. Si colpiva le gambe con la racchetta, colpevoli di non obbedire agli ordini. E in circa novanta minuti l’incontro prendeva la direzione di San Candido: 7-5, 6-2 per Sinner.
Il tennis, si sa, è sport diabolico. Non ha una durata, non consente a chi sta vincendo di perdere tempo in attesa che l’arbitro fischi. Anche avanti di due set bisogna macinare punti. E a farlo nel terzo e nel quarto, senza apparenti mutamenti di condizione fisica e mentale, in altrettanti novanta minuti, è stato il trentacinquenne di Belgrado. Meno errori del serbo certamente, qualcuno in più dell’italiano, e così l’incantesimo si è spezzato e ci si è trovati al quinto set. Chi sperava nel miracolo italiano presto ha dovuto arrendersi. Un 6-2 perentorio per Djokovic e stretta di mano molto amichevole a rete.

SINNER non può che dolersi per la sconfitta, dopo aver sognato il colpo grosso. Ed è giusto avere dei rimpianti, perché i grandi campioni non devono gradire le sconfitte. Detto ciò, questa partita e quella precedente con l’altro nuovo fenomeno del tennis mondiale, Carlos Alcaraz, fanno comprendere il livello che questo ventenne sarà in grado di raggiungere. La palla corta, la volée avanzando verso la rete, la gestione di alcuni punti che forse si possono lasciar andare per rifiatare, la capacità di servire con più continuità per evitare di dover scambiare ogni singolo quindici, sono i limiti da oltrepassare per fare il definitivo salto in avanti.
La speranza, però, trova immediato conforto, perché ogni partita che passa, Sinner cresce, mostra cose che poco prima non si erano viste. Ad esempio, in questo torneo è comparsa la seconda palla di servizio con la quale è riuscito a mettere in difficoltà Alcaraz e lo stesso Djokovic. Fino a ieri, il tennista italiano aveva vinto tre partite sull’erba, quelle che avevano preceduto l’incontro odierno con lo squalo serbo. Forse quel bivio che si pensa sempre dietro l’angolo è prossimo a essere raggiunto. Il tennis mondiale non lo imboccherà calcando i prati londinesi, ma i segnali mandati da Sinner e Alcaraz, protagonisti di un bellissimo incontro agli ottavi, sono abbastanza chiari. Si tratta solo di saper aspettare, si spera, il meno possibile.