«Bisogna recuperare quei 17 voti». E’ quasi un ordine imperativo quello che in queste ore circola al Senato tra i sostenitori del ddl Zan. I 17 in questione sono i senatori di Italia viva i cui voti, quando martedì prossimo la legge contro l’omotransfobia approderà finalmente in aula, sono dati ormai per persi. Certo, due giorni fa, quando si è trattato di calendarizzare il testo liberandolo dalla Commissione Giustizia dove è impantanato da mesi, i renziani hanno unito le loro forze a quelle di Pd, LeU, 5 Stelle e Autonomie, ma la sinergia è finita lì. E anche se ieri fonti del partito hanno fatto sapere che Italia viva non chiederà il voto segreto sugli emendamenti che verranno presentati (è praticamente sicuro che lo faranno altri), senza di loro il destino della legge rischia di essere davvero segnato.

Per questo occorre colmare quell’assenza e per questo nei corridoi di palazzo Madama è tutto un rincorrersi di ipotesi, valutazioni sulle posizioni dei singoli ma soprattutto conteggi e riconteggi sui favorevoli e i contrari al provvedimento. «Non credo che ormai sia andato tutto all’aria. Bisogna combattere», ragiona non a caso il dem Alessandro Zan, padre della legge.

In realtà la strada è in salita, anche perché il fronte dei dubbiosi si allarga. «Dobbiamo fare uno sforzo per un testo migliore possibile», spiegava ad esempio ieri il dem Mino Taricco non escludendo una modifica degli articoli 1, 4 e 7, gli stessi sui quali insistono da giorni anche i renziani. E per una riscrittura dell’articolo 4, dove viene garantita la libertà di espressione, non è contrario neanche il senatore Gregorio De Falco. «C’è un’eccessiva vaghezza», spiega l’ex M5S. «Si garantisce la libertà di pensiero sempre che non costituisca una sorta di invito a commettere reati. Ma questa è una contraddizione, perché si individua un limite non previsto dalla nostra Costituzione».

Tra gli ex M5S, oggi al Gruppo Misto, sicuramente favorevole a votare la legge contro l’omofobia così come approvata dalla Camera è invece la senatrice Paola Nugnes e come lei – se sono vere le voci che circolano – la penserebbero anche le colleghe Elena Fattori e Virginia La Mura. In tutto dal Misto potrebbero arrivare una decina di voti, più quelli dei sei senatori di LeU. A questi andrebbero sommati i 75 senatori M5S (dove però non mancherebbe qualche defezione) e i 38 del Pd. Contrari Forza Italia (51 ma si parla di possibili dissidenti) Fratelli d’Italia (20), Lega (64) e Idea (7). Più i restanti del Misto. E un’apertura a eventuali modifiche è arrivata anche dal gruppo delle Autonomie. «Sarà una battaglia parlamentare dagli esiti imprevedibili» pronostica il capogruppo della Lega alla Camera, Massimiliano Romeo.

Saranno gli emendamenti il cuore della battaglia. Al momento non è chiaro se la Lega si prepara a inondare il Senato con le proposte di modifica oppure se si limiterà a presentare quelli proposti dal presidente della Commissione Giustizia Andrea Ostellari e che hanno ricevuto anche l’apprezzamento di Italia viva: una riscrittura degli articoli 1, 2, 3, 4 e 7 con la cancellazione delle parole identità di genere. Proposta già bollata come «irricevibile» dal Pd perché escluderebbe le persone trans da ogni forma di tutela. In ogni caso nel fronte dei favorevoli alla legge si sta già lavorando ai cosiddetti emendamenti «premissivi», quelli che servono a cancellare in blocco interi gruppi di proposte di modifica. «Con il voto segreto si rischia il Vietnam in aula: vi ricorso i 101 di Prodi», ha ripetuto ieri il capogruppo dei senatori renziani Davide Faraone. Mentre Matteo Salvini è tornato ad attaccare Enrico Letta come fa ormai tutti i giorni, segno probabile di un certo nervosismo: «Noi proveremo con il dialogo fino all’ultimo, se Letta vuole affossare la legge ci sta riuscendo». Replica del segretario Pd: «Salvini sta con Orban. Come si può dare credito alle loro presunte proposte di mediazione sul ddl Zan?»