Il nodo della crisi ha un nome e un cognome: Matteo Renzi. Il veto del Pd è caduto ufficialmente per bocca di Nicola Zingaretti. I 5 Stelle si dilaniano e si dividono ma la realtà è quella che è: i numeri al Senato non ci sono oggi e difficilmente ci saranno domani. Se anche Giuseppe Conte raggranellasse qualche senatore in più sfiorando quota 161, maggioranza assoluta, cambierebbe ben poco.

L’OPERAZIONE Responsabili rischia di fallire per la terza volta consecutiva anche se ieri sera un rinforzo è arrivato, quella del senatore Vitali, uscito da Forza Italia per passare al nuovo gruppo formatosi al Senato.

Un gruppo nato tra gli strilli: quelli della senatrice Sandra Lonardo in Mastella quando ha scoperto, quasi per caso, che sul simbolo del nuovo gruppo campeggiava il nome Centro democratico. È il movimento di Bruno Tabacci e si sa che tra lui e Clemente Mastella non corre buon sangue. Agli urli della senatrice hanno fatto eco quelli della ex superberlusconiana Maria Rosaria Rossi. È finita che Lonardo ha abbandonato la scialuppa e per costituire il gruppo, che salirà al Colle per la consultazione stamattina, è dovuta correre in soccorso la senatrice del Pd Tatiana Rojc, specificando che però si tratta solo di un «prestito». Lei resta del Pd.

Questo però è solo colore, anzi rumore. La nota stridente è che per ora il gruppo non aggiunge granché al carniere di Conte. Dei dissidenti forzisti promessi da Rocco Casalino per ora se ne è materializzato solo uno. Gli altri, se esistono davvero, aspettano forse che Conte venga bruciato per emergere. In più uno dei fondatori del nuovo gruppo, l’ex capitano De Falco, mette subito i puntini sulle i: «Conte è molto importante ma se con lui non fosse possibile si vada subito a un altro governo».

Non è una voce isolata e peregrina. È l’umore diffuso che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, si respirava ieri. Nessuno molla Conte. Nessuno lo mollerà nel primo tentativo di formare un governo. Ma se non ce la farà le defezioni si conteranno a mazzi e l’eventualità di sostituire l’Insostituibile sarà in campo con molta forza e sostenuta da molti parlamentari della maggioranza.

PER QUESTO CONTE, se sarà incaricato dopo le consultazioni di oggi e domani come è quasi certo, deve farcela al primo giro. Nella condizione data, significa trattare con Matteo Renzi. Scelta difficile e dolorosa, ma obbligata. Il leader di Italia viva si trova in una posizione di forza e lo sa.

Conte ha provato a fare a meno di lui e, salvo novità dell’ultimissima ora, non ce l’ha fatta. Tra le doti del rottamatore non figura la generosità: farà pesare sino all’ultimo milligrammo la sua indispensabilità. Lo ha fatto capire nel post su Facebook di ieri sera bollando con sprezzo la nascita del nuovo gruppo parlamentare come «uno scandalo al quale si assiste in parlamento: il tentativo di far passare delle persone non su un’idea ma su una gestione opaca delle relazioni personali e istituzionali».

COME SE NON BASTASSE trattare con Renzi significa anche imboccare una strada pericolosa. Nel Movimento 5 Stelle i duri, guidati da Alessandro Di Battista e al Senato da Barbara Lezzi più agguerrita che mai, sono pronti a rompere pur di non avere più nulla a che fare con il traditore.

Senza contare l’ostacolo Alfonso Bonafede, già rivelatosi fatale. Che Renzi ne chieda la sostituzione alla Giustizia è quasi certo. Ma i 5S, costretti appena tre giorni fa a scegliere tra sacrificare Conte oppure un guardasigilli che incarna quel che resta della loro ideologia giustizialista, hanno preferito mollare il presidente del consiglio. Non hanno cambiato idea. Bonafede è considerato ancor più indispensabile di Conte.

EPPURE SENZA APRIRE a Renzi il premier ha ben poche speranze. Ieri Italia viva si aspettava un suo gesto a breve, una chiamata che non è arrivata. L’avvocato non vuole farlo, resiste, spera nel miracolo. Se non cambierà idea tutto tornerà presto in gioco. Renzi probabilmente metterà in campo una candidatura alternativa targata 5 Stelle: quella di Luigi Di Maio, adombrata dall’ex ministra Teresa Bellanova e smentita con indignazione tale da suonare sospetta dallo staff dell’interessato, o quella del presidente della Camera Roberto Fico. In realtà molte strade resteranno aperte.

La stessa destra uscirà probabilmente dal congelatore in cui ha scelto di chiudersi. Lo ha fatto capire chiaramente Matteo Salvini ieri, con una dichiarazione a modo suo esplosiva: «Prima deve uscire di scena Conte, poi ragioniamo. Il voto è la prima opzione che porteremo al Colle, non l’unica». Più tardi il leghista specificherà che l’alternativa è solo un governo di destra, ma il segnale è arrivato a destinazione.

PERCHÉ SE NESSUN governo sarà possibile Mattarella difficilmente convocherà le elezioni a breve. Ci sarà bisogno di un governo tecnico o istituzionale con piena fiducia del parlamento sino a giugno-luglio, ma in questi casi non è detto che la corsa non si prolunghi. La situazione, in un quadro simile, sarebbe completamente diversa. Le carte a destra si rimescolerebbero e forse non solo in Forza Italia.