Finisce alla sbarra, cinque mesi dopo avere scandito i suoi categorici «Nein». Il Senato di Berlino trascina in tribunale il ministro degli Interni, Horst Seehofer, per i suoi «ripetuti rifiuti di fornire assistenza umanitaria ai rifugiati dei campi-profughi della Grecia».

Lo ha deciso martedì il senatore socialdemocratico Andreas Geisel, delegato agli Interni del Land della capitale, che a metà settembre era andato a verificare di persona le condizioni disumane nel lager di Moria.

Esultano le Ong «Seebrücke», «Sea-Watch» ed «Equal Rights Beyond Borders», chiedendo anche a Brema e alla Turingia di procedere con analoghe azioni legali contro il leader cristiano-sociale, reo di avere impedito lo scorso luglio a tre Stati e 200 comuni di accogliere circa duemila persone.

È la risposta, in punta di Diritto, alla cinica Realpolitik del governo guidato dalla cancelliera Angela Merkel, tutt’altro che paladina dei migranti come da propaganda costruita cinque anni fa.

Una denuncia esplosiva, per niente relegata alla pura formalità: rischia di trasformarsi nel precedente giuridico in grado di rimettere in discussione l’attuale gestione dei rapporti istituzionali sanciti dal federalismo.

Ai giudici del tribunale la massima autorità della Città-Stato domani chiederà formalmente di verificare se è stata rispettata l’autonomia locale prevista dalla legge; ovvero se il ministro Seehofer poteva davvero opporsi all’accoglienza deliberata dai Senati regionali e dai Consigli comunali di mezza Germania.

Veri e propri «programmi di aiuto statale», proposti, votati, vigenti esattamente come le misure di contenimento del Covid-19 varate a partire da marzo. Un problema fondamentale almeno quanto la Legge che dal 1949 funge da Costituzione negli Stati dell’Ovest e dal 1990 anche dell’Est.

Ma anche una «bomba» politica pronta a deflagrare dentro la Grande coalizione a meno di un anno dalle elezioni nazionali fissate per il prossimo autunno. «Non dimentichiamo che tuttora migliaia di profughi vivono in condizioni terrificanti nelle isole greche. Incendi, inondazioni e mancanza di viveri li hanno colpiti duramente. E’ uno scandalo che dentro i confini dell’Ue vi siano persone costrette a sopravvivere così, mentre in Europa c’è abbastanza capacità per accogliere chiunque senza problemi. Bisogna evacuare subito tutti i lager» riassume il portavoce di «Seebrücke».

In altre parole, «a Berlino c’è spazio in abbondanza. Per questo motivo il Senato ha promosso la causa legale contro il blocco imposto da Seehofer, contrario all’accoglienza diffusa decisa dai municipi. Un passo importante per la definizione della sua responsabilità personale ma anche per rendere possibile il soccorso umanitario dei Land che hanno fatto richiesta. Ora ci aspettiamo che altri Stati seguano l’esempio della capitale e fermino il ministro degli Interni» sottolineano i volontari di «Sea Watch».

Nel dettaglio Berlino contesta al ministro Csu di avere impedito che a luglio venissero evacuati 300 profughi. All’epoca Seehofer giustificò il veto arrampicandosi sulle maglie del regolamento «Dublino III» e con l’obbligo di «mantenere l’uniformità federale».

Posizione sposata e politicamente coperta da Merkel, da sempre contraria a qualunque decisione «a macchia di leopardo» perfino in assenza di contro-indicazioni.

In Germania non mancano i fondi pubblici (dopo la rottamazione del totem del debito-zero) né le strutture per l’accoglienza (ereditate con la fine dell’emergenza del 2015) e tanto meno la cornice giuridica che in altri Paesi impedisce l’entrata in vigore delle norme stabilite a livello locale.

Sarebbe bastato, dunque, che Seehofer avesse dato seguito alla richiesta inoltrata ufficialmente ad agosto dal senatore Geisel (che a Berlino esercita la funzione di ministro dell’Interno), magari discutendo le modalità di competenza ma senza opporre il secco rifiuto a qualunque forma di accordo.

Un bel paradosso per il capo della Csu, sempre pronto a rivendicare l’autonomia del «Libero Stato di Baviera» eppure altrettanto deciso a proibire a Berlino, Brema e alla Turingia (le tre «regioni rosso-verdi») di esercitare la medesima facoltà.

Un «gioco delle due carte» durato per ben cinque mesi, nonostante gli appelli e le manifestazioni di piazza di milioni di tedeschi in ogni città della Germania.

Ora il ministro bavarese è chiamato ad assumersi in pieno la responsabilità legale del blocco dell’accoglienza. Da domani dovrà dimostrare, nero su bianco, con prove inconfutabili, che il suo rifiuto era giuridicamente fondato oltre che inevitabile.

Impresa niente affatto facile nella Bundesrepublik dove le minacce al federalismo vengono sempre considerate molto seriamente. Specie a Berlino dove – non solo proverbialmente – esiste ancora un giudice disposto a condannare l’abuso di potere.