In fondo è tutta questione d’intendersi su cosa significhi cambiamento. Per M5S vuol dire che a dirigere l’ammiraglia dell’informazione Rai, il Tg1, deve essere un nome che abbia un sapore nuovo, ma sul Cencelli non di discute. Quando mai si è visto che quel Tg non spetti al partito di maggioranza relativa? I 5S hanno il loro nome in tasca, Milena Gabanelli, e più nuovo di così.

La Lega invece al cambiamento ci tiene davvero, in particolare a quello già operato da Renzi con la riforma che assegna all’ad, già direttore generale, poteri straordinari. E siccome non si discute sul fatto che a occupare quella poltrona sarà un candidato scelto dai 5S il Tg più importante spetta al Carroccio. E anche Salvini ha il suo candidato che morde il freno: Mario Giordano, già depennato da Mediaset perché troppo “populista”.

Il pomo della discordia era questo, quando ieri sera i due vicepremier e leader di partito, insieme a Conte e Tria sono entrati nel conclave di palazzo Chigi per uscirne, forse, con l’intero mazzo delle nomine per la prima volta scelte tutte insieme, i vertici aziendali e quelli dell’informazione. Se va a posto il Tg1 va a posto tutto, sussurravano i beninformati. Tria per la verità ci aveva tenuto a specificare che la scelta dei due nomi chiave per i vertici, l’Ad e il presidente, spetta a lui e che Salvini può incontrare chi vuole ma a decidere è «il ministro competente». Ma a torto o a ragione nessuno lo ha preso troppo sul serio.

La poltronissima del super Ad non è ancora stata definitivamente assegnata ma in pole position resta Fabrizio Salini, proveniente da La7. È vero che all’ultimo momento qualche ostacolo il Carroccio lo ha creato, ma solo per parare il colpo degli improvvisi dubbi pentastellati sull’assegnazione della presidente a Giovanna Bianchi Clerici, ex parlamentare della Lega, ed ex cda Rai con Berlusconi al governo, insomma con un cursus honorum non proprio all’insegna del cambiamento. Solo che in realtà anche i mal di pancia di Di Maio per la navigata Bianchi Clerici sono soprattutto una carta da giocare per la direzione del Tg1. Se si risolve quella casella, appunto, si risolve tutto.

Oddio, un problemino anche qualora i soci si accordassero sulla lettura moderna dell’antico ma immortale Cencelli resterebbe: il Tg3. La poltrona dell’informazione sulla Raidue andrà naturalmente a quello dei due contendenti che uscirà sconfitto dal braccio di ferro sull’ammiraglia. Ma il Tg della terza rete va per tradizione all’opposizione. Insomma, spetterebbe di diritto al Pd. L’ipotesi, ieri, era quella di rispettare la tradizione, anche per evitare l’accusa di aver occupato l’occupabile come nessuno prima si era permesso di fare, magari con qualche spostamento di maggioranza ai vertici della rete. Ma il nome del prescelto ancora non c’era.

In queste condizioni all’avvio del vertice di ieri non era affatto certa la fumata bianca, neppure a tarda notte. In fondo per spulciare il Cencelli adeguandolo al «cambiamento» c’è tempo fino a venerdì.