Ha combattuto per due anni, armi in pugno, al fianco del popolo del Donbass in nome del socialismo. Questa è la sua prima intervista da quando è rientrato in Italia a luglio 2017.

Il suo nome di battaglia è Nemo, è stato il comandante dell’InterUnit, l’unità degli internazionalisti fondata nel settembre 2015, che ha combattuto per le Repubbliche Popolari di Lugansk e Donetsk, dichiaratesi unilateralmente indipendenti dall’Ucraina il 12 maggio 2014, a seguito di un referendum popolare.

InterUnit, operativa in prima linea a nord-ovest della Repubblica Popolare di Lugansk, ha sospeso le attività militari nel gennaio 2017.

Il conflitto però non concede tregue, la guerra civile dura da 4 anni e secondo le stime ufficiali ha già provocato più di 10mila morti. Nemo preferisce mantenere il suo anonimato.

L’ho incontrato a Roma, sua città natale, a margine di un incontro pubblico sul centenario della Rivoluzione bolscevica.

Tra i presenti, gli ambasciatori e i delegati di Venezuela, Cuba e Nicaragua hanno seguito con interesse il suo intervento.

Si combatte ancora in Donbass? Qual è lo scenario attuale dal punto di vista politico e militare?

La situazione in Donbass è estremamente chiara, abbiamo vinto. Abbiamo sconfitto i fascisti, abbiamo liberato un territorio e stiamo tentando di costruire uno stato socialista. Deve essere chiaro che il detonante dell’insurrezione in Donbass è stato il colpo di stato fascista di Kiev; il popolo però non si è sollevato soltanto contro il fascismo ma anche contro il capitalismo, che in Ucraina è fallito mostrando il suo volto peggiore.

Nonostante gli accordi di Minsk II si combatte ancora e le Repubbliche Popolari continuano ad essere sotto attacco. Il governo di Kiev ha compreso che con gli assalti frontali non riesce a passare ed è in atto una guerra a bassa intensità che comunque provoca mediamente la morte di 2/3 soldati ucraini al giorno; una cifra enorme. In Ucraina vige la leva obbligatoria e hanno una quantità di ‘carne da cannone’ sterminata.

A noi non fa assolutamente piacere questa situazione, ovviamente abbiamo i nostri morti e pensiamo a loro. In questo momento gli ucraini stanno attaccando con metodi non convenzionali, soprattutto con autobombe nei centri cittadini; c’è da dire che lo fanno professionalmente, con cariche ben calibrate, e raramente ci sono vittime tra i civili ma è qualcosa che va fermato e che non possiamo accettare.

Kiev deve capire che se continua su questa strada ci sarà una recrudescenza inevitabile.

Perché sostieni che il governo di Kiev sia un governo fascista?

Il governo di Kiev attua una politica fascista in continuità con i governi precedenti ma si appoggia a componenti naziste che hanno avuto un ruolo decisivo in Euromaidan. I nazisti hanno ottenuto, in cambio del loro supporto, un mandato incondizionato per effettuare operazioni ‘di pulizia’ contro la popolazione ma anche all’interno dell’esercito ucraino, andando a colpire chi si rifiuta di combattere.

Inoltre le milizie naziste, come il battaglione Azov, non sono dipendenti dal Ministero della Difesa ma dal Ministero degli Interni.

Nelle città di Charkiv e Mariupol, che prima facevano parte dei nostri territori, i nazisti hanno compiuto delle feroci rappresaglie quando le hanno riconquistate. Oggi per questi motivi i nazisti sono odiati anche dalla gente comune.

La rivolta in Donbass si è innescata emotivamente proprio dal fatto di vedere i fascisti al potere, poi è diventata una lotta anticapitalista.

Quanto tempo hai trascorso in Donbass?

Dal 2015 al 2017 ho trascorso un anno e mezzo in prima linea e sei mesi nelle retrovie. Ho avuto 14 giorni di riposo e sono uno di quelli che ne ha avuti di più; alcuni compagni stanno combattendo da quattro anni e questo vuol dire anche quattro gelidi inverni.

Non c’è tregua: con il freddo, i combattimenti e la morte ti confronti sempre e dopo 4 anni inizia ad essere molto dura.

C’è chi è stato ferito anche tre volte ma continua a combattere. Nessuno vuole prendersi dei giorni di riposo perché se la persona che ti sostituisce perdesse la vita vivresti per sempre con il senso di colpa. Ad alcuni è accaduto purtroppo.

Cosa rappresenta l’InterUnit e da chi è composta?

L’InterUnit è un soggetto politico militare nato dalla Brigata Prizrak (la Brigata Fantasma creata da Aleksej Mozgovoj che combatte nella milizia della LNR ndr). La grande differenza rispetto ad altre esperienze del passato è stata quella di ricompattare la sfera politica con quella militare, questo è un tabù che in Italia non è stato più affrontato negli ultimi anni.

Noi ci inseriamo nel solco tracciato dalle migliori lotte internazionaliste, sia della Guerra Civile Spagnola, sia delle guerre di liberazione dell’America Latina. Siamo persone normalissime, quasi tutte senza precedenti esperienze militari.

Nel complesso hanno militato in InterUnit 31 compagni provenienti dall’Italia, dalla Francia, dalla Finlandia, dagli Sati Uniti e da altri Paesi. Il grosso dei combattenti è arrivato dalla Spagna proprio perché c’è questo retaggio della Guerra Civile Spagnola, qualcosa di indelebile nella memoria degli antifascisti.

Quali sono le rivendicazioni di chi combatte in Donbass e quali sono le prospettive, non solo nel breve periodo?

Il Donbass è nato come un progetto politico con l’intento di costruire una realtà alternativa che fosse in continuità con l’Unione Sovietica; il capitalismo in Ucraina infatti è stato il terreno fertile per mafia ed oligarchia. A causa di alcune contraddizioni interne le Repubbliche Popolari non si sono sviluppate pienamente ma il processo è in atto.

Il problema più grande dal punto di vista politico è che nelle Repubbliche i partiti comunisti non contano nulla per una loro incapacità di lettura della situazione contingente; inizialmente infatti non hanno appoggiato l’insurrezione, perdendo un’occasione storica. In questo vuoto politico si sono inserite le forze che cercano di restaurare il sistema economico precedente ed il sistema delle oligarchie.

Tutto questo ha portato ad una «russizzazione», il governo attuale infatti vede la Russia come unico interlocutore. In questa fase c’è una guerra all’interno della guerra, da un lato la guerra guerreggiata, militare, in cui sono impegnati in prima fila i comunisti che sono quelli che danno il contributo più spassionato e disinteressato ma poi ci sono degli scontri anche all’interno, nelle retrovie, tra chi vuole davvero il socialismo e chi cerca di restaurare il capitalismo.

Per quale motivo hai deciso di mettere a rischio la tua vita andando a combattere in Donbass?

Sono un antifascista e un internazionalista e a chi crede davvero in queste idee viene spontaneo dargli un’attuazione pratica. In questa fase la rivoluzione e l’insurrezione armata in Italia non credo siano alle porte, quindi chiunque avesse intenzione di fare un’esperienza di lotta armata rivoluzionaria deve rivolgere le proprie attenzioni altrove.

È la tua prima esperienza al fronte? Dove ti sei addestrato?

Come operativo al fronte è stata la prima esperienza. In realtà il mio addestramento risale a parecchi anni fa ed è avvenuto in Jugoslavia, durante la crisi del Kosovo. Anche lì si è tentato di costituire delle unità internazionaliste per difendere un’esperienza socialista ma purtroppo siamo arrivati troppo tardi, quando il vento era già cambiato.

Abbiamo perso tanto tempo all’inizio perché all’epoca internet era solo agli albori, non lo padroneggiavamo e non riuscivamo a sfruttare a pieno le potenzialità anche perché erano ancora poco sviluppate. In Donbass ci siamo perfezionati e raccordati con i compagni locali, sia per quanto riguarda le tecniche sia per quanto riguarda l’affiatamento generale.

Perché questo nome e quali erano i tuoi compiti?

Il nome Nemo viene dalla letteratura, ci sono due casi estremamente noti. Il primo è nell’Odissea, l’altro Nemo è quello di Ventimila leghe sotto i mari, un militante internazionalista ante litteram che andava per il mondo a combattere l’imperialismo con metodi un po’ fantascientifici ma comunque efficaci.

Appena arrivato in Donbass sono stato inquadrato in un’unità di fanteria, un paio di mesi dopo è stato sviluppato il progetto politico militare e in InterUnit ho assunto il compito di commissario politico.

Nei primi due anni di guerra si utilizzava il sistema di lotta partigiana con il doppio comando: commissario politico e comandante militare. All’epoca ero commissario politico per un motivo ben preciso, non conoscevo la lingua russa, quando sono arrivato ad un livello di conoscenza sufficiente ho assunto il comando dell’unità.

I compiti classici sono quelli di controllo del territorio, grossi avanzamenti non ce ne sono stati, comunque ho contribuito a strappare parti di territorio all’Ucraina, compresi due villaggi e una collina strategica.

I media hanno dato spesso risalto a battaglioni di estrema destra, in cui sono presenti anche italiani, che combattono in Donbass per l’indipendenza delle Repubbliche Popolari. È una narrazione parziale?

Non è una lettura parziale, è semplicemente una balla montata dai media. Ci sono dei fascisti che combattono per Kiev e poi ce ne sono alcuni che fanno parte delle milizie popolari, questi ultimi sono di due tipi: i fascisti locali e quelli europei che per motivi loro hanno deciso di andare a combattere contro la NATO.

Nessuno di questi è inquadrato in un battaglione fascista, assolutamente non esistono formazioni militari fasciste che combattono per le Repubbliche Popolari, questa è un’invenzione.

Ci sono stati dei tentativi di costituirne e sono stati immediatamente smantellati perché totalmente incompatibili con la fiera natura antifascista del popolo del Donbass. Purtroppo però questi personaggi sono molto bravi a camuffarsi e ad inserirsi nei gangli del potere assumendo la veste del rossobrunismo.

Ad esempio nella Repubblica Popolare di Lugansk hanno occupato tutti i posti dell’agenzia di stampa ufficiali. Le informazioni che passano fuori sono ampiamente filtrate per mano dei fascisti, questa è un’altra grande contraddizione.

I fascisti che realmente hanno combattuto al fianco degli ucraini non sono più di 10, poi ce ne sono altri 20 circa che hanno combattuto per brevi periodi.

C’è però un buco nero, perché è impossibile quantificare quanti europei siano passati per i centri di addestramento dei battaglioni punitivi ucraini. Sappiamo per certo che i nazisti ucraini hanno dato formazione militare ai fascisti italiani e forse anche delle armi.

Sappiamo ad esempio che l’esercito ucraino ha perso 5 milioni di armi leggere, di questi un milione lo abbiamo sottratto noi delle Repubbliche Popolari. Gli altri 4 milioni? Queste armi scomparse sono già apparse in altri scenari, ad esempio in Romania e in Libia.

Non molto tempo fa una coppia di napoletani è stata arrestata perché accusata di traffico internazionale di armi ed elicotteri (dalle indagini risulterebbero provenienti dall’Ucraina e venduti ad Iran e Libia ndr), non si sta parlando più solo di armi leggere.

L’Ucraina si sta vendendo tutto anche perché le frontiere sono molto permeabili. Alcuni fascisti europei sono stati già trovati con delle armi sottratte e questo farebbe pensare che parte di queste possano essere già arrivate qui.

Tornando al tema degli italiani nelle milizie popolari, gli antifascisti che hanno combattuto per lunghi periodi sono stati più di 20, poi ce ne sono circa 10 che sono stati per brevi periodi. Per quanto riguarda i fascisti invece, quelli che hanno combattuto realmente sono stati 2, mentre sono stati circa 10 quelli che sono stati al fronte per brevi periodi. Bisogna considerare inoltre che ci sono stati 6 fascisti, molto esposti mediaticamente, che dicono di essere combattenti mentre sono stati sempre in seconda linea.

Se consideriamo i fascisti locali ucraini, più quelli russi e quelli europei, nel loro apice raggiungevano lo 0,9% dei combattenti in Donbass, se a questi aggiungiamo i nazionalisti e gli integralisti religiosi (ultraortodossi e neopagani) arriviamo al 2%. Numeri irrisori. Se in Italia rappresentiamo la lotta del Donbass guardando solo questo 0,9% vogliamo volutamente fare una narrazione distorta.

Quanto è forte ancora la tradizione sovietica in Donbass?

Le Repubbliche Popolari si pongono in piena continuità con l’Unione Sovietica e questo serve anche a sfatare un altro mito: non siamo filorussi. Se la popolazione del Donbass fosse realmente filorussa non avrebbe mai costituito una Repubblica Popolare, perché una realtà che contiene degli elementi di socialismo è in aperta antitesi con la storia degli ultimi 25 anni della Russia.

La maggioranza della popolazione del Donbass si ritiene sovietica. Nel 1991 ci fu un referendum in cui la popolazione dell’Unione Sovietica si espresse fermamente contro la sua dissoluzione (77% dei votanti ndr), che è stata portata avanti comunque con un colpo di mano e solo con un colpo di mano gli si può rispondere.

Qual è la posizione della Russia in questo conflitto? Vi ha offerto un supporto militare?

La Russia era interessata esclusivamente alla Crimea ed ha ottenuto quello che voleva, infatti lì gli scontri sono durati solo 2 giorni e hanno provocato 2 morti. In Donbass invece si combatte da 4 anni e non c’è stato nessun supporto militare russo alla nostra lotta.

La Russia non è interessata all’indipendenza delle Repubbliche Popolari, non è ostile alla causa ma tende a rappresentarla come una causa etnica.

La Brigata Prizrack ha infatti combattuto solo con armi sovietiche. All’inizio dell’insurrezione sono state utilizzate armi da caccia e da autodifesa, dopodiché sono stati assaltati i posti di polizia per sottrarre le armi.

A quel punto il conflitto è diventato ad alta intensità e Kiev ha inviato il suo esercito. In molti casi però i soldati ucraini hanno disertato e si sono addirittura uniti alle milizie popolari.

Successivamente siamo entrati in possesso delle cartine dei vecchi depositi di armi sovietiche sotterrate segretamente dall’URSS da utilizzare in caso di attacco e abbiamo combattuto con quelle. Abbiamo preso pezzi di artiglieria dai parchi e molte armi anche dai musei, erano armi funzionanti che magari avevano solo bisogno di sostituire il percussore. Le armi di precisione sono state prese tutte dai musei ed erano armi sovietiche. La mia arma personale era un kalashnikov, mentre quella di posizione era un fucile PTRD del ’41.

La Russia non vi ha offerto nemmeno un sostegno economico?

Bisogna considerare che gli unici rapporti commerciali che le Repubbliche Popolari hanno con l’esterno sono con la Russia che è, credo, l’unico acquirente del carbone del Donbass.

Gli scambi sono tutti in rubli e la Russia, immettendo denaro dall’esterno, ha contribuito a riattivare l’economia delle Repubbliche che era completamente ferma.

In che modo è cambiata la tua vita oggi?

La mia vita non è cambiata praticamente per niente perché sono un militante rivoluzionario, quindi per me fare la guerra o fare normale attività politica non cambia assolutamente niente, se non negli strumenti.

Pensi di tornare a combattere?

Io continuo a combattere solo che non sto facendo una lotta armata; non ha senso farla in Italia in questa fase, non ci sono le condizioni, faccio una lotta politica.

Per quanto riguarda il Donbass, se dovesse essere necessario sarei operativo in 48 ore e come me tanti altri compagni. Noi ci siamo fermati in quanto la diplomazia internazionale ci ha imposto di non avanzare ulteriormente, ma il popolo del Donbass non si accontenta di aver liberato un fazzoletto di terra, per quanto grande possa essere.

Il nemico è il fascismo che ancora imperversa a Kiev e a questo si deve porre un rimedio. Se non lo farà la comunità internazionale prima o poi lo faranno i popoli dell’ex Ucraina.

C’è anche un altro aspetto da considerare, InterUnit è un soggetto militare che in questa fase non sta operando in Donbass ma deve essere chiaro che se ci fosse un attacco ad altre esperienze socialiste nel mondo, i compagni sarebbero sicuramente pronti ad intervenire in qualsiasi momento.