Paul Schrader – sceneggiatore di Taxi Driver e Toro scatenato e regista di Mishima e First Reformed – ha detto al New Yorker che Nomadland mostra una povertà finta. Ha spiegato in un post sui social che “i personaggi fingono di essere poveri. Se si trattasse di un film sulla povertà vera sarebbe inguardabile… La povertà vera è cupa, senza fine e implacabile. L’unico modo per renderla drammatica è di dare un finale positivo ma in realtà non c’è una risoluzione positiva”.

Molti critici sono d’accordo con Schrader e il film di Chloé Zhao è stato criticato anche per il ritratto relativamente positivo delle condizioni lavorative di Amazon. I critici spesso attaccano i film per la loro versione della povertà e delle classi che ne soffrono: il cinema è fuori del mondo, pieno di ricchi che non hanno una minima idea di cosa sia davvero la povertà.

Ed i poveri sono o invisibili o un cliché positivo o una minaccia criminale – si veda Un tranquillo fine settimana di Paura o più recentemente Eden Lake. Ma questa visione è problematica. Il primo problema è dato dal fatto che la classe dei critici, alla quale appartengo anch’io, è abbastanza privilegiata.

Sicuramente non sono poveri. Secondo: il cinema è pieno di ritratti di poveri e della povertà. Infatti c’è un intero genere, il “Social Realism”, che tratta esclusivamente la classe operaia o ancora più spesso gli esclusi, gli emarginati ecc.

Ci sono registi che mettono queste persone al centro delle loro opere: Ken Loach, Mike Leigh, Shane Meadows ed Alan Clarke; i fratelli Dardenne, Mathieu Kassovitz, Spike Lee, Harmony Korine, Debra Granik, Sean Baker… Se ho dimenticato qualcuno, allora vedete che ho ragione, ci sono anche loro, eccome.

Molti di questi film non sono inguardabili, e pochi hanno un finale positivo. Anzi il problema spesso è che la negatività e il pessimismo diventano troppo prevedibili. Il Ken Loach migliore è quello che va controcorrente e inventa un lieto fine per il suo protagonista, come in Piovono Pietre del 1993. Infatti, il pessimismo è proprio un problema: ogni casa è un cesso; ogni comunità è senza speranza; ogni tentativo di aiutare è pieno di ipocrisia e destinato a fallire.

Tanti film di social realism fingono di essere politici ma in verità offrono poco tranne una visione di persone veramente fottute. I film ritraggono spesso una versione della povertà estrema e senza via d’uscita ma in realtà ci sono tanti esempi di fuga dalla povertà. La storia e anche la mia vita offrono esempi di vie di scampo.

Torniamo a Nomadland e alla critica di Schrader e di altri.

Primo, Amazon. Come ha risposto un mio amico, Robbie Collins: non è proprio un inno alla gioia lavorare a Amazon, con l’operaio che vive in macchina e fa i suoi bisogni in un secchio.

Secondo, l’idea che per essere poveri significa non avere scelta. Veramente le scelte sono sicuramente ridotte ma ci sono, esistono. La scelta di molti dei personaggi del film è economica: vivere nei loro veicoli costa meno e offre uno stile di vita più interessante.

Dietro tutto ciò c’è l’idea che non sono veramente poveri. La classe media è ossessionata dall’idea di autenticità rispetto alla classe ‘inferiore’ (forse perché si sentono loro stessi “in-autentici”). Confondono ciò che è estremo per ciò che è vero.

In realtà, Nomadland – come tutti i film di Zhao – è un misto fra documentario e film di finzione. Molti tra i personaggi non sono attori ma vivono proprio come nel film. In questo senso sono molto più reali di Travis Bickle o di personaggi di altri film di Schrader. Dobbiamo avere sempre un senso più ampio di altre realtà, specialmente di quelle estranee alla nostra