Ai primi di ottobre il sindaco di Benestare, sulle colline della Locride, Rosario Rocca (Sel), è stato vittima dell’ennesimo atto intimidatorio: la sua macchina è stata data alle fiamme. In seguito a tale evento il primo cittadino ha rassegnato le dimissioni con una lettera indirizzata al capo dello Stato, alla presidente della Camera, al prefetto di Reggio Calabria, in cui ha denunciato «lo stato di abbandono in cui versa il territorio calabrese», dimenticato da «uno Stato sordo e assenteista». In effetti in Calabria è emergenza democratica. In pochi anni oltre un centinaio tra attentati dinamitardi, omicidi, tentati omicidi, lettere minatorie, aggressioni, danneggiamenti a beni di proprietà pubblica e privata, colpi d’arma da fuoco a persone e cose, proiettili recapitati. È questo il linguaggio della paura, la grammatica del terrore scelta dalla ‘ndrangheta per intimorire gli amministratori. Per questo Avviso Pubblico, il network di enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie, ha deciso di tenere la propria quinta festa nazionale, che parte oggi, a Lamezia Terme, in un’area ad alta densità mafiosa. Alla vigilia del meeting abbiamo incontrato il padrone di casa, Gianni Speranza, sindaco di Sel, tra i leader del fronte antimafia.

Sindaco Speranza, lo Stato al sud è sotto assedio ma pochi se ne accorgono fuori dai confini. Come si vive nella trincea dei comuni?

Ha ricordato le dimissioni, per ora rientrate, di Rosario Rocca, ma prima di lui si è dimessa Carmela Lanzetta, sindaca di Monasterace. E molti altri vivono quotidianamente una situazione inaccettabile. È difficile, fuori dalla Calabria, rendersi conto di quanto sia duro resistere tra l’incudine delle politiche governative che hanno messo i Comuni in gravissime difficoltà e il martello della criminalità organizzata che è presente sul territorio. Il parafulmine di tutte le sofferenze dei cittadini diventano i sindaci e le amministrazioni locali: dal lavoro che manca alle buche nelle strade. Si capisce allora che, in assenza di iniziative forti da parte dello Stato, ci siano amministratori locali che si vedono costretti a gettare la spugna.

L’ultima inchiesta antindrangheta che ha toccato Lamezia, e che vede coinvolto tra gli altri un senatore in carica, ha confermato che non è più la criminalità a servirsi della politica ma è la politica che chiede aiuto alla mafia. Perché tanta degenerazione nella cosa pubblica?

Fino a questo momento sono stati coinvolti il senatore Piero Aiello del Pdl ed altri esponenti del centrodestra. È tragicamente vero, ma dall’inchiesta è emerso dell’altro: professionisti e imprenditori che trovavano normale accompagnarsi ai malavitosi, fare affari, anche di poco conto, con loro. La degenerazione è trasversale. Riguarda ampi settori della politica e della società che sembrano indifferenti, quando non complici, rispetto a quanto accade attorno. Hanno stretto mani insanguinate senza battere ciglio, hanno bussato in cerca di voti o di favori come fosse per loro del tutto naturale.

Rianimare la coscienza etica, innescare una serie di azioni per amplificarne la portata mediatica, la costituzione di presidi civici di persone interessate al proprio territorio e ai beni comuni,potrebbero essere degli antidoti sociali alla corruzione e all’infiltrazione. Come in concreto dare attuazione a questi propositi?

Non è facile, ma occorre provarci. Noi abbiamo innalzato barriere protettive adottando delibere e comportamenti concreti, anche più stringenti rispetto alla normativa attuale, per ostacolare le infiltrazioni negli appalti o sulle forniture del Comune. Abbiamo lavorato, a stretto contatto con le scuole e l’associazionismo, a partire dall’associazione antiracket, per mobilitare le coscienze e tenere alta l’attenzione. Abbiamo dato vita a Trame, primo festival dei libri sulle mafie e denunciato spesso inascoltati, come nella società che gestisce l’aeroporto di Lamezia, i pericoli concreti di infiltrazione che si stavano correndo.

Ogni anno le attività illegali (mafie, evasione fiscale, corruzione) sottraggono circa 500 miliardi all’economia legale. Un costo enorme che ricade sulla collettività, aggrava i costi della crisi, compromette la possibilità di sviluppo. Per molte persone impoverite dalla crisi e senza prospettive risulta difficile resistere alle sirene dei facili guadagni promessi dalla malavita. Come far capire che una società con alti livelli di malaffare è una società in cui aumentano le disuguaglianze, in cui cresce l’impoverimento e diminuiscono le opportunità per tutti, a cominciare dai giovani?

A farne le spese sono gli imprenditori onesti, i cittadini inermi, i tanti giovani disoccupati ricattati e privati della loro libertà oltre che esposti ad una concorrenza non sostenibile. Anni fa, durante il mio primo mandato da sindaco, fu dato alle fiamme un deposito di pneumatici. L’incendio distrusse non solo l’impresa, ma anche l’abitazione della famiglia Godino, a due passi dal locale commissariato di Ps. Abbiamo lavorato, insieme al governo in quell’occasione, per ricostruire casa ed impresa che oggi sono lì, nello stesso posto. E ci siamo costituiti parte civile in tutti i processi di mafia, a partire da quello in cui un altro imprenditore lametino, Rocco Mangiardi, ha riconosciuto esecutori e mandati dell’estorsione a cui era stato sottoposto. Molti dei risultati raggiunti nelle inchieste successive partono da lì e testimoniano che ribellarsi, non arrendersi, ne vale la pena.

Una dozzina di comuni calabresi sciolti per ’ndrangheta nel solo 2013, la val di Susa, il ponente ligure, e adesso anche il primo comune lombardo, Sedriano, sciolto per infiltrazioni. In questo quadro a tinte fosche che ruolo possono svolgere i comuni virtuosi nelle pratiche antimafia?

I dati che ha ricordato sottolineano ormai la diffusione e la pervasività delle mafie nel nostro Paese. Si tratta di una enorme e drammatica questione nazionale. E come tale va affrontata. Paradossalmente lì dove tutto ha avuto inizio in termini di infiltrazioni e condizionamenti, il sud, la Calabria, si sono sperimentate in questi anni buone pratiche amministrative e forme di lotta e resistenza che possono essere utili in quelle realtà del nord che per la prima volta si trovano a fare i conti con questo fenomeno. Il senso di questa quinta festa e della stessa associazione Avviso Pubblico in fondo è proprio questo.

Oggi Avviso Pubblico scende a Lamezia per una due giorni antimafia. Cosa ti senti di dire agli illustri ospiti?

Ringrazio l’associazione e tutti gli amministratori locali che, da ogni parte d’Italia, saranno a Lamezia nei due giorni della festa nazionale. Avere scelto la nostra città è motivo d’orgoglio ed un segnale importante. Ci aiuta ad andare avanti e a fare sentire meno soli i tanti amministratori calabresi che in questi anni si sono sentiti e ancora si sentono in trincea. Mi auguro anche che la presenza di tanti esponenti di governo sia l’occasione non solo per manifestare la loro preziosa solidarietà, ma anche dare vita a politiche sempre più efficaci contro le mafie e positive verso il mezzogiorno. L’altro giorno il rapporto Svimez nella sua fotografia annuale ha ricordato che la Calabria si conferma la regione più povera d’Italia: su questo servono risposte serie ed urgenti.